Corriere della Sera

«Sono l’unico a conoscere la ricetta segreta del Fernet In azienda nessun familiare»

Il conte manager: la meditazion­e mi aiuta ad avere dei guizzi

- di Luciano Ferraro

Etica e stress

Ho studiato psicologia e diretto una banca. La prima cosa che ho fatto qui è stata introdurre un codice etico e aiutare i dipendenti a combattere lo stress sul lavoro

Anni Cinquanta

Fino al 1950 il nostro infuso d’erbe era catalogato come medicinale: questo ci permise di venderlo negli Stati Uniti aggirando il Proibizion­ismo

«Signor conte, bisogna uscire, in fretta». Mancano pochi minuti alle 22, nello stabilimen­to dove è custodita la ricetta segreta di uno dei liquori più famosi del mondo. Il conte Niccolò Branca corre verso il grande mondo che decolla con un’aquila e una bottiglia, il logo che sovrasta il palazzo e compare in milioni di etichette. Né il ruolo, né il titolo nobiliare gli permettono una deroga alla regola che impone a tutti di filare via prima che scattino coprifuoco e sistema d’allarme. Blazer blu e braccialet­ti etnici ai polsi, Niccolò Branca non perde la calma. Porta occhiali con la montatura di tartaruga, ha una curatissim­a barba grigia, ha 65 anni e sembra appena uscito da una serata trascorsa a meditare. «Pratico la meditazion­e da quasi trent’anni — racconta — e la uso per guidare l’azienda». Presidente e amministra­tore delegato di Branca Internatio­nal, il conte è al timone di un gruppo da 300 milioni di ricavi, con 330 dipendenti (nessuno con contratto a tempo limitato). Tra i 12 marchi di liquori con 60 milioni di bottiglie l’anno, il faro è il Fernet Branca che si produce nella casa-fabbrica in centro a Milano e in Argentina.

Parliamo un po’ di lei?

«Sarà noioso».

Come riesce a mantenere segreta la ricetta del Fernet dopo quasi due secoli?

«Qualche anno fa risposi al New York Times che pur di non rivelarla andavo in Argentina nel momento della produzione».

E adesso?

«La tecnologia ci aiuta, la mia presenza non è più necessaria. Siamo organizzat­i a compartime­nti stagni: nessuno conosce la fase completa di lavorazion­e. Chi si occupa di erbe e radici, selezionat­e con codici segreti dal computer, non partecipa alle infusioni, alle estrazioni e ai decotti, mentre un altro team in modo altrettant­o segreto unisce i mix. Solo io conosco i codici».

Quante sono le erbe e le radici usate per il Fernet?

«Sono 27. Nove di queste vengono aggiunte con un ulteriore blend. Una ciliegina. Come un dosaggio negli champagne».

La segretezza è la chiave del successo del vostro liquore?

«La ricetta viene trasmessa di generazion­e in generazion­e (siamo alla quinta) a chi ha la responsabi­lità dell’azienda. È un processo produttivo difficile, lungo e costoso. Nel nostro museo c’è un intero armadio con 200 imitazioni finite male».

La ricetta le è stata affidata da suo padre? «Soprattutt­o da mio zio».

Quando è entrato in azienda?

«Ero già maturo, nel 1999. Sono stato prima presidente della banca Ifigest. Poi ho diretto una collana di libri, “Saggezza, scienza e tecnica” per la Nardini di Firenze, una visione olistica del sapere. E altro ancora».

Cercava un percorso autonomo dalla famiglia?

«Un percorso di autoconosc­enza personale. Ho studiato psicologia e seguito maestri della meditazion­e».

Le è servito in azienda?

«Molto. La prima cosa che ho fatto alla Branca è stata introdurre un codice etico. L’idea è che le persone all’interno della società sono considerat­e non come mezzi ma come fini. Poi abbiamo stabilito regole di rispetto ambientale con i fornitori delle erbe da tutto il mondo. Abbiamo varato carte sulla sicurezza del lavoro e molto altro, fino al bilancio di sostenibil­ità».

E avete dato lo yoga come benefit per i dipendenti durante lo smart working.

«Anche prima, grazie ad una insegnante che aiuta ad affrontare lo stress del lavoro. Durante la pandemia abbiamo continuato con i corsi online. Di yoga ma anche di cucina, abbiamo un ricco welfare aziendale».

Cos’è la meditazion­e?

«Presenza. Che porta alla tranquilli­tà della mente. In modo da osservare quello che avviene dentro se stessi, e avere visione profonda e chiarezza. Da questo arrivano saggezza e consapevol­ezza».

Meditando le sono venute idee per il lavoro? «Tante idee, Einstein diceva che se vuoi risolvere un problema devi fare altro. A volte basta una passeggiat­a, evitando di stare concentrat­i. Si deve liberare la mente per avere il guizzo».

Il suo guizzo nato durante la meditazion­e? «Ho convertito in dollari i capitali argentini poco prima del default del Paese. Non solo ho salvato il patrimonio ma tutto l’organismo vivente aziendale, come lo chiamo io».

Con che idea avete affrontato quella crisi? «Ci siamo inventati un amaro di pronta beva, meno costoso del Fernet. Avremmo potuto chiudere, ma abbiamo scelto un approccio creativo e siamo riusciti a traghettar­e l’azienda fuori dal periodo buio».

Altri guizzi con la meditazion­e?

«Durante la pandemia ho pensato: anche con i bar chiusi la gente vuole bere bene. Così abbiamo lanciato i cocktail monodose, Negroni e Mito. Quelle bottigliet­te sono state un successo».

Come convive con il suo titolo nobiliare?

«L’ho ereditato. È stato conferito per meriti sociali. Per il nostro impegno a fare affari in modo etico. Ho poi avuto la gioia di essere insignito Cavaliere del Lavoro dal presidente Napolitano. Sono anche Cavaliere di San Marino». Come ha cambiato l’azienda?

«C’era bisogno di mettere ordine. Ho creato subito una holding internatio­nal, poi il ramo finanza e quello immobiliar­e. Con manager che hanno compiti precisi per sviluppare i vari settori».

Suo zio cosa le disse consegnand­ole le chiavi del portone dello stabilimen­to?

«Mio zio Giuseppe mi è sempre stato vicino. Come mio padre, Pierluigi».

E cosa ha pensato entrando da capo in azienda?

«Un senso di gratitudin­e per chi ha lavorato qui in 177 anni, si respirano amore e passione. Ho sentito l’obbligo di continuare l’artigianal­ità. Vendiamo in 160 Paesi».

Lei gira il mondo?

«Ho appena ricomincia­to dopo la pandemia, dall’Argentina».

Mogli e figli lavorano con lei?

«Mia moglie si occupa di tutt’altro, è importante che sia così. Un figlio è vice presidente della consociata America ma non è dipendente. La filosofia è di non avere dipendenti della famiglia. Ognuno deve fare la propria strada».

Come ha fatto lei.

«Esatto».

Il rapporto Branca-Milano?

«Siamo sempre stati in città. Il primo stabilimen­to alle Varesine, poi l’abbiamo venduto al padre di Manfredi Catella. Siamo in via Resegone dal 1907. Abbiamo restaurato la Torre Branca, facciamo molti eventi. Abbiamo usato la ciminiera per la Land art».

È vero che in Argentina il Fernet si beve soprattutt­o con la Coca Cola?

«È la bevanda nazionale, una parte di Fernet e tre di Cola, ma ognuno fa come vuole. Il Fernet ha un carattere forte, una personalit­à che permette ai mixologist di usarlo, ad esempio, con la birra o con il chinotto».

Qual è l’erba o la radice che non toglierebb­e mai dal Fernet?

«Zafferano, mirra, genziana, zedoaria, galanga... Ma è l’insieme delle parti che diventa più della somma. Lo sapeva bene mio nonno, che era un alchemico».

La ricetta è mai cambiata?

«No, ma altri fattori, come il clima, influenzan­o le caratteris­tiche delle erbe. Come accade con l’uva per il vino».

Davvero riesce a distinguer­e un Fernet da annata a annata?

«Si capisce di quale epoca sia, anche perché negli anni è cambiato il grado alcolico».

Qual è stato il record?

«48 gradi, adesso siamo a 39. Un tempo, quando non c’era la tecnologia di oggi, l’alta gradazione serviva ad amalgamare erbe e radici».

Qual è stato l’uso più strano del Fernet?

«L’ho trovato in un consorzio agrario, lo vendevano per il pastone dato a cavalli e mucche per pulire lo stomaco».

Il Fernet era un medicinale?

«Fino al 1950, proprio per i disturbi di stomaco. È stato il nonno, con una idea geniale, a farlo uscire da questa categoria. Che ci ha comunque permesso di vendere negli Stati Uniti anche durante il Proibizion­ismo».

 ?? ?? Il marchio Niccolò Branca, imprendito­re e scrittore (è autore di cinque saggi e di diverse pubblicazi­oni), è Cavaliere del Lavoro, titolo del quale lo insignì Napolitano nel 2011. La Fratelli Branca Distilleri­e fu creata a Milano nel 1845 da Bernardino Branca, l’inventore del Fernet. Oggi l’azienda, dal 1999 guidata da Niccolò Branca, è presente in oltre 160 Paesi
Il marchio Niccolò Branca, imprendito­re e scrittore (è autore di cinque saggi e di diverse pubblicazi­oni), è Cavaliere del Lavoro, titolo del quale lo insignì Napolitano nel 2011. La Fratelli Branca Distilleri­e fu creata a Milano nel 1845 da Bernardino Branca, l’inventore del Fernet. Oggi l’azienda, dal 1999 guidata da Niccolò Branca, è presente in oltre 160 Paesi
 ?? ?? Réclame Un manifesto del Fernet Branca della fine dell’Ottocento
Réclame Un manifesto del Fernet Branca della fine dell’Ottocento

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