UN NUOVO (E ANTICO) EROISMO CHE È NAZIONALE ED EUROPEO
Tra passato e futuro Nel conflitto in corso, la morta autocrazia dello zar si scontra con il «risorgente» opposto senso della patria dimostrato dagli ucraini
Finora assente, esclusa perfino come ipotesi, la guerra è invece tornata ed è tornata in un luogo fatale della storia d’Europa: dice niente, a noi italiani, la parola Crimea? Anche per questo può essere interessante chiedersi come e perché la guerra è tornata tra di noi. Una possibile risposta si trova nella combinazione tra due parole: la parola utopia, la parola globalizzazione. Parole queste che sono tra di loro connesse, perché utopia letteralmente vuol dire assenza di luogo, ciò che perfettamente corrisponde all’idea della globalizzazione.
Insieme a tante cose negative, per tre decenni la globalizzazione ne ha in realtà portata una positiva: per tre decenni ha portato la pace. Se è vero infatti che la guerra «è un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi» (così von Clausewitz, 1837), è vero in specie che, terminata la «guerra fredda» (1989) e avviata la globalizzazione (1994), proprio con questa è venuta a mancare, se non in parti periferiche del mondo, proprio la ragione essenziale della guerra: il territorio.
Dall’immemorabile, dal tempo di Tucidide fino allo spazio vitale di Hitler, la guerra è stata infatti indissolubilmente legata al territorio: guerra per difendere il proprio territorio o per conquistare il territorio degli altri. Con la globalizzazione non è stato più così: al posto della guerra è infatti venuto il dominio del mercato sugli Stati e al posto della guerra sono venute la concorrenza e la competizione tra gli Stati. È così che per mutazione dalla categoria classica della guerra è venuto un tipo di guerra nuovo e del tutto particolare: non guerra fatta per conquistare il territorio degli altri o per difendere il proprio, ma piuttosto per attrarre sul proprio territorio la ricchezza degli altri (Tremonti, La guerra “civile”, 1996).
L’esempio più forte e attuale di questa strategia è quello dato da ultimo dalla Cina che, fermo il suo territorio, ha irradiato verso l’Europa le sue «vie della seta». Non per caso una di queste scorre (scorreva) attraverso l’Ucraina!
È stata la pandemia che ha posto termine a questa fase della storia terminando un sogno durato trenta anni, riportandoci al mondo che c’era prima, un mondo in cui c’erano gli Stati e, con varia frequenza, la guerra tra Stati. E questo perché il mondo che c’è adesso non è più il mondo in cui il mercato stava sopra gli Stati e li dominava, ma un mondo in cui ogni Stato fa e difende autonomamente la sua propria economia, se del caso confliggendo con altri Stati in tipi di guerra dalla natura oggi imprevedibile, come in qualche modo «futurista» è stato ipotizzato già 20 anni fa quando si era ancora al principio della globalizzazione (Jean e
Tremonti, Guerre stellari. Società ed economia nel cyberspazio, 2000).
In ogni caso già questa che è in atto ci si presenta come una guerra insieme sorprendente e causa di sorprese, come del resto già altre volte è stato nella storia.
«Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita», così nel 1525 fu lapalissianamente detto per Jacques de La Palisse, il nobile cavaliere francese caduto nella battaglia di Pavia, abbattuto dal colpo di un archibugio sparato da un oscuro fante. E l’eccidio, insieme con Lapalisse, degli altri cavalieri francesi, la cavalleria di Francia allora la più poderosa forza militare del tempo, annunziò di castello in altro sgomento castello la fine di un’epoca: la fine dell’arma bianca, battuta dall’arma da fuoco, e soprattutto e per sempre il trionfo sui nobili del popolo. Del popolo che da allora e per sempre avrebbe preso il suo posto nella storia.
A ben vedere non è poi molto diverso quello che sta accadendo oggi, con gli appiedati fanti ucraini che, con i loro missili portatili al posto degli archibugi, distruggono i carri armati russi messi in colonna come a combattere una guerra del secolo scorso. Oggi la guerra tra Russia e Ucraina pare dunque già una guerra tra passato e futuro, tra droni e informatica. Ma soprattutto è una guerra tra la morta autocrazia dello Zar, simbolizzata dal segno «Z» dipinto sui blindati russi, e il risorgente opposto senso della patria ucraina. Così che un popolo cui si rivolgeva l’accusa di «decadenza nel consumismo» oggi si dimostra invece capace di un nuovissimo anzi antichissimo tipo di eroismo, insieme nazionale ed europeo. Proprio come è stato due secoli fa al tempo dei risorgimenti europei.