Il motore «Superfast» spinge una grande Ferrari Binotto vince la scommessa
Ingegneri, tecnici, meccanici: giovani che fanno squadra
MANAMA Le coppe della doppietta sono state spedite a casa, la bandiera con il Cavallino è stata issata a Maranello. La squadra si è spostata a Gedda dove domenica si corre. Viaggia leggera, di testa, essendosi liberata di un peso opprimente. Mattia Binotto sul podio con i piloti è un messaggio potente, all’esterno e all’interno: ci metteva la faccia dopo le peggiori sconfitte, e ce la mette ora sul successo più importante della sua gestione. La scelta di sacrificare la stagione 2021 per l’attuale — di cambio di regole — era stata vista da molti con un tentativo di guadagnare mesi. Ma era una lettura sbagliata.
Le prossime gare saranno fondamentali per le ambizioni da titolo di questa Ferrari rinata. È avanti rispetto alla Mercedes, ma deve capitalizzare il fattore tempo. Hamilton e Russell non avranno grossi correttivi alla macchina prima di Imola. È più solida della Red Bull (forse non è un caso che i guasti siano capitati dopo l’addio della Honda), il doppio ritiro potrebbe tradursi in un atteggiamento prudente della squadra blu.
Ma la Red Bull, e soprattutto la Mercedes, torneranno a lottare: con gli sviluppi. In Arabia la Ferrari non introdurrà aggiornamenti, è sicura della sua forza: «È più importante capire la monoposto, c’è altro potenziale da estrarre. Quando saremo “maturi” aggiungeremo uno step» ha detto Binotto.
Il piano riscossa ha radici profonde: il team principal, come aveva già fatto da direttore tecnico sotto la presidenza Marchionne, ha puntato sulle risorse interne rimescolando poche carte, sapendo di giocarsi le ultime fiches di credibilità. Come suo vice ha voluto l’ex tecnico della Fia Laurent Mekies, ribattezzato «D’Artagnan», nel paddock, per il suo look seicentesco.
E come un moschettiere Leclerc si è difeso da Verstappen, grazie alla sua classe e al motore vitaminizzato. In particolare il nuovo sistema ibrido, che consente di sfruttare una maggiore quantità di energia elettrica nell’arco di un giro. Ha impressionato per accelerazione in uscita dalle curve e per trazione. L’ibrido spinge insieme al V6 turbo completamente rifatto — l’unità 066/7, nome in codice «Superfast» — per un salto di potenza che, al momento, ha consentito di superare le cavallerie di Mercedes e Honda, ma le prestazioni vere emergeranno ancora di più a Gedda, tracciato di potenza. La genesi del «Superfast», è stata lunga, e le sue soluzioni «non convenzionali» — secondo Enrico Gualtieri, responsabile dell’area power unit — sono il frutto di un pool di cervelli del quale fa parte il tedesco Wolf Zimmermann (arrivato dalla Mercedes nel 2015), a lungo a capo dei programmi sperimentali. Meglio degli altri, gli ingegneri di Maranello hanno maneggiato la nuova benzina con bioetanolo, che fa perdere 20-25 cv rispetto a un carburante classico. Ma non è un singolo elemento ad aver portato così in alto la F1-75.
I telaisti guidati da Enrico Cardile, e gli aerodinamici da David Sanchez, hanno capito l’effetto suolo, contando anche sui dati, molto più precisi, del nuovo simulatore di Fiorano, investimento da decine di milioni di euro. Oltre agli strumenti, gli uomini: i meccanici dei pit-stop, diretti da Claudio Albertini, esercitazioni infinite per battere i colleghi della Red Bull, i più veloci del mondo ai box. Giovanissimi da lanciare, si è pescato sempre in azienda: al muretto per le strategie c’è il 27enne britannico di origine indiana, Ravi Jain, entrato in Ferrari con uno stage e promosso a braccio destro del capo della tattica, Iñaki Rueda. Facce di un Cavallino rigenerato, con l’orgoglio di sempre.