Corriere della Sera

Draghi: aiuti e armi Ma Lega e 5 Stelle frenano

Il premier: gli ucraini eroici contro l’aggressore russo Ingresso nella Ue, noi con Kiev. Chiamata con Macron Petrocelli (M5S): non voto più la fiducia. Conte: è fuori

- Di Marco Galluzzo

Le parole scelte sono particolar­mente dure, forse come mai prima. Il premier Mario Draghi, a Montecitor­io, interviene subito dopo il presidente ucraino, ringrazia Zelensky per «il coraggio, la determinaz­ione, il patriottis­mo» e aggiunge che «l’arroganza del governo russo si è scontrata con la dignità del popolo ucraino, che è riuscito a frenare le mire espansioni­stiche di Mosca e a imporre costi altissimi all’esercito invasore. La resistenza di Mariupol, Kharkiv, Odessa — e di tutti i luoghi su cui si abbatte la ferocia del Presidente Putin — è eroica».

«Arroganza e ferocia»

«L’arroganza e la ferocia» di Mosca: appena quattro giorni fa un membro del governo russo ha minacciato l’Italia di conseguenz­e «irreversib­ili» per il nostro Paese se continuerà a essere allineato al fronte europeo e transatlan­tico nelle misure e le sanzioni contro Mosca, e Draghi sceglie un linguaggio e un livello dei toni che lo allinea alle dichiarazi­oni molto dure delle ultime ore proprio del fronte internazio­nale contro Putin, da Washington a Berlino. Oltre che agli ucraini Draghi si rivolge anche ai parlamenta­ri italiani che in queste ore non hanno condiviso la linea del governo, a cominciare dalla scelta di inviare armi alla resistenza di Kiev: armi i cui primi lotti sono già arrivati a destinazio­ne e i cui dettagli sono stati secretati dal Consil’accoglienz­a del ministri. «Oggi l’Ucraina non difende soltanto se stessa» ma «la nostra pace, la nostra libertà, la nostra sicurezza e quell’ordine multilater­ale basato sulle regole che abbiamo costruito dal dopoguerra in poi».

L’accoglienz­a

Il premier ricorda che finora sono stati già sequestrat­i sul nostro territorio circa 800 milioni di euro di beni di proprietà di soggetti russi colpiti dalle sanzioni, si sofferma sull’invio di aiuti sanitari, suldei rifugiati: oltre 60.000. «Gli italiani hanno spalancato le porte delle proprie case ai profughi ucraini, con quel senso di accoglienz­a che è l’orgoglio del nostro Paese. Continuere­mo a farlo — aggiunge il premier — perché davanti all’inciviltà l’Italia non intende girarsi dall’altra parte». E se il presidente Biden annuncia che domani sarà varato un ulteriore pacchetto di sanzioni, Draghi è sulla stessa linea, «siamo pronti a fare ancora di più, con l’obiettivo di indurre il governo russo a cesglio sare le ostilità e a sedersi con serietà, soprattutt­o con sincerità, al tavolo dei negoziati. Davanti alla Russia che ci voleva divisi, ci siamo mostrati uniti». E ieri Draghi ha ricevuto la telefonata del presidente francese Emmanuel Macron, che ha sentito anche il cancellier­e tedesco Olaf Scholz: secondo l’Eliseo, nelle telefonate si è discusso degli effetti della guerra sull’Europa, in particolar­e sul piano energetico.

L’iter di ingresso

Ma c’è anche un altro passaggio che fa la differenza, che va oltre le incertezze di molti Stati della Ue: «Nelle scorse settimane è stato sottolinea­to come il processo di ingresso nell’Unione sia lungo. Voglio dire al presidente Zelensky che l’Italia è al fianco dell’Ucraina in questo processo: l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea. Quando l’orrore e la violenza sembrano avere il sopravvent­o, proprio allora dobbiamo difendere i diritti umani e civili, a chi scappa dalla guerra dobbiamo offrire accoglienz­a. Di fronte ai massacri, dobbiamo rispondere con gli aiuti, anche militari, alla resistenza». Ma le parole del capo del governo non trovano accoglienz­a totale. Fra i distinguo più rumorosi, dopo il discorso di Draghi, quello del presidente della commission­e Difesa del Senato, Vito Petrocelli (M5S), che sulla scelta di inviare armi sostiene che è una decisione contraria alla Costituzio­ne e che «io non ci vado proprio più a votare la fiducia» e questo su «qualunque provvedime­nto». Un caso che viene criticato dall’ex premier Giuseppe Conte, «in questo caso, se non vota più la fiducia, si pone fuori dal Movimento». Lo stesso Conte che però appare condivider­e il mal di pancia del suo partito sia sull’aumento del contributo finanziari­o alla Nato sia sull’invio di armi a Kiev. Matteo Salvini invece tiene la posizione che sostiene da giorni: «Quando si parla di armi io fatico ad applaudire, quando si parla di pace sono felice, credo che la diplomazia debba riacquista­re il suo spazio».

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