Corriere della Sera

La scure su Navalny: condanna a 9 anni Ora il dissidente rischia di «sparire»

Il nemico numero uno del Cremlino non ha più agibilità politica, la sua presenza diventerà ancora più sporadica di quanto lo è stata negli ultimi 2 anni

- Marco Imarisio

Era accusato di «frode» e «oltraggio alla corte»

«Nove anni. Bene, come dicevano i personaggi di The Wire, la mia serie televisiva preferita, “fai solo due giorni, quello in cui entri e quello in cui esci”. Avevo anche una maglietta con questo slogan, ma le autorità carcerarie me l’hanno confiscata, consideran­dola estremista».

Aleksej Navalny era il primo a sapere che nei suoi confronti sarebbe arrivata un’altra condanna. Ancora più pesante dei due anni che stava già scontando nel carcere di Prokov, vicino a Mosca. E lo sconto rispetto alle richieste della Procura generale, che aveva chiesto il massimo della pena previsto per il reato di frode e oltraggio alla corte, ha il sapore di una ulteriore beffa. Come quando, dopo l’avvelename­nto avvenuto in Siberia nel 2020 e il ricovero in un ospedale di Berlino che gli aveva salvato la vita, i comunicati del Cremlino si riferivano a lui definendol­o «il paziente tedesco».

Il verdetto di ieri assume un significat­o quasi definitivo. Uno dei suoi tormentoni più popolari quando era un uomo libero e il blogger di riferiment­o degli attivisti delle grandi città russe, era «conta solo il risultato». Appunto. Navalny è fuori gioco. La sua presenza sarà ancora più sporadica di quanto lo è stata negli ultimi due anni trascorsi tra prigione e tribunale. Fine corsa, ha commentato Vladimir Soloviov, il conduttore televisivo prediletto da Vladimir Putin. E per una volta, ha ragione lui.

La censura

La rete che ha creato in questi anni continuerà ad agire in suo nome, pubblicand­o inchieste, facendolo parlare attraverso i social che furono il suo punto di forza e ora sono proibiti in madre patria. Saranno commentati all’estero, riceverann­o senz’altro attenzione. «Putin ha paura della

La censura «Putin ha paura della verità, combattiam­o la censura» ha detto Aleksej dopo il verdetto

verità» ha scritto dopo la sentenza. «La nostra priorità rimane quella di combattere la censura per far conoscere la verità al popolo russo». Ma da ieri, l’agibilità politica di Navalny non esiste più. La parabola del nemico numero uno del Cremlino si è compiuta. Chi si chiedeva quale avrebbe potuto essere il suo ruolo dopo la scelta coraggiosa di tornare in patria dalla Germania, ha avuto la risposta.

Il presidente russo non gli potrà mai perdonare la sua svolta politica del 2011, quando Navalny face inversione a U rispetto alle sue posizioni nazionalis­te. Era stato un convinto sostenitor­e della Grande Russia, aveva addirittur­a appoggiato l’intervento militare in Georgia del 2008. Ma fu lesto a virare il suo populismo carismatic­o verso il malcontent­o che aleggiava nella società russa intorno al Cremlino e all’oligarchia putiniana. Il suo sito RosPil lo consacrò a fustigator­e del sistema trasforman­dolo nel leader della protesta che riempì le strade di Mosca e San Pietroburg­o nella primavera del 2013. L’andata e ritorno delle patrie carceri cominciò a quell’epoca. Navalny non era ancora l’icona del dissenso che conosciamo oggi. Era stato anche contestato dai suoi sostenitor­i, quando rifiutò di condannare l’annessione della Crimea del 2014, il capitolo iniziale dell’operazione militare speciale in Ucraina.

La candidatur­a

Fu proprio Putin a innescare la sua trasformaz­ione definitiva, impedendog­li di candidarsi alle elezioni del 2018, che lo «zar» avrebbe comunque stravinto, e fornendogl­i così la patente di primo oppositore ufficiale. Navalny colse l’occasione al volo. Il suo canale YouTube cominciò a sfornare inchieste a cadenza mensile, rivelando tra le altre cose le proprietà non dichiarate dell’allora premier Dmitrij Medvedev. Divenne una spina nel fianco. Anche dopo il suo avvelename­nto, quando rivelò il ruolo avuto da alcuni esponenti dei servizi segreti russi nel tentativo di eliminarlo, e il suo video sulla residenza sul Mar Nero che secondo lui appartenev­a a Putin fece oltre cento milioni di visualizza­zioni.

Nello scorso gennaio, il suo nome era stato inserito nella lista dei «terroristi estremisti» redatta dal Servizio federale per il monitoragg­io finanziari­o. La sua addetta stampa è fuggita dalla Russia, inseguita da un mandato di cattura. I suoi avvocati sono stati arrestati all’uscita dal Tribunale mentre parlavano con la stampa. Le cancelleri­e internazio­nali hanno protestato quasi all’unisono contro la condanna. «Vogliono farlo tacere» ha detto il portavoce del Dipartimen­to di Stato americano Ned Price. Ma rimangono pur sempre nove anni. Quel che conta, è il risultato.

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(Ap/Zemlianich­enko) In tribunale Navalny, 45 anni, durante il processo

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