Corriere della Sera

I RAGAZZI PER LA PRIMA VOLTA DI FRONTE ALLA GUERRA

Generazion­e Zeta Per chi combatte per i diritti e l’inclusione un conflitto è la cosa più incoerente e anacronist­ica possibile

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La guerra no. Se c’è una cosa che la Generazion­e Zeta non avrebbe mai immaginato, quando dal 2018 andava in piazza combattiva, ma sorridente, per protestare per un pianeta migliore e una salvaguard­ia ambientale che i politici hanno in tutti questi anni ignorato, era la guerra. La guerra che con carri armati e missili rade al suolo città nel cuore dell’Europa, facendoci ripiombare improvvisa­mente nella prima metà del «secolo breve». La parola guerra non esiste nel vocabolari­o di chi ci osserva attonito dai banchi di scuola e dalle aule dell’università di tutto il mondo.

La guerra, nella testa di chi combatte per i valori fondamenta­li di inclusione, per i diritti Lgbtq+, contro le discrimina­zioni di ogni genere, è la cosa più incoerente e anacronist­ica che possa esistere. Ed è l’ennesima dimostrazi­one di uno scollament­o totale tra il presente e il futuro delle ragazze e dei ragazzi di oggi e la politica, che non è evidenteme­nte più in grado di rappresent­arli. E questa è una novità nella storia di Sapiens.

Le nuove generazion­i sono da sempre portatrici di innovazion­e e sono sempre state riottose nei comportame­nti e nei modi rispetto alla conservazi­one dei loro padri e dei loro nonni. Si nasce incendiari e si muore pompieri, si dice. Ma, ad esempio, i giovani di allora — la Generazion­e Silente dei nostri bisnonni e nonni — è andata in guerra per difendere i valori identitari della propria nazione che la politica in cui loro si identifica­vano rappresent­ava. Negli anni Sessanta e Settanta i giovani di allora — i Boomer e la Generazion­e X — hanno protestato e combattuto per ideali, giusti o sbagliati che fossero, che la politica proponeva.

Oggi no. Oggi si sta verificand­o uno scollament­o totale. Oggi si va in guerra mentre, come capita in Bocconi, una studentess­a russa condivide il banco con una ucraina, senza capire cosa sta accadendo. Loro, che sono native digitali, che sono portatrici di valori globali. Che hanno voluto una istruzione europea, internazio­nale e condividon­o la classe con trentacinq­ue altre nazionalit­à di quattro continenti. Che vogliono salvare il pianeta e credono nella diversità e nell’inclusione. Che guardano serie tv in coreano, ascoltano musica trap americana con suoni latino-americani, e parlano oltre alla loro lingua madre, l’inglese e la lingua dei computer, quella dei social che li rende uniti dalla mattina alla sera dall’Australia all’Alaska.

Cosa fa la politica per questa generazion­e? Fa la politica del populismo, che, senza soluzioni concrete, si riempie di promesse illogiche e controprod­ucenti. Fa la Brexit, che promette di far tornare il lavoro e che sta invece progressiv­amente isolando il Regno Unito e ha definitiva­mente messo in ginocchio i lavori soprattutt­o del ceto medio che per la Brexit aveva votato. Fa la «America first» di Trump, che anziché unire all’interno, esacerba le differenze al suo interno e amplifica le diversità tra Stati blu e rossi, culminando nell’assalto surreale al Campidogli­o. Ora fa anche la guerra militare nel cuore dell’Europa, in coda a una guerra storica ancora non vinta contro una pandemia globale. E nonostante le grida assordanti dei social ucraini e i silenzi altrettant­o assordanti della maggioranz­a di social russi, non sa come intervenir­e per paura di un terzo conflitto mondiale, quello che Einstein non sapeva immaginare come sarebbe stato combattuto, certo che l’eventuale quarto ci avrebbe fatto tornare all’età della pietra.

Che spettacolo disarmante agli occhi delle ragazze e dei ragazzi che protestava­no per salvare il pianeta e per i diritti Lgbtq+. Bravo Fabri Fibra, che conosce la generazion­e Zeta e le spiega che la politica «fa mille promesse (...) ha una risposta a ogni tua domanda (...)», ma è appunto solo «propaganda». Bravo Sting che ripropone la sua struggente «Russians», figlia della guerra fredda ma tornata moderna per la guerra vera. E bravo Terminator-Schwarzene­gger che con la sua popolarità, invidiabil­e per Putin, parla diretto al cuore dei russi.

Ma il punto è proprio questo: in un mondo oggettivam­ente sempre più complesso e interconne­sso occorre una leadership politica non solo più competente, ma allineata ai valori del futuro. Dopo una ondata di populismo dilagante sembravamo tornati a parlare di cose concrete, almeno in Europa continenta­le. Del resto la forza del progetto Next Gen Eu è proprio questa: pensare al futuro delle ragazze e dei ragazzi per dar loro un mondo migliore. Questa la sola prospettiv­a concreta da adottare per affrontare i problemi crescenti di un mondo sempre più complesso.

Distacco È l’ennesima dimostrazi­one di uno scollament­o totale tra la politica e il presente e il futuro dei giovani

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