QUANDO UMBERTO FREQUENTAVA LE LEZIONI DI NORBERTO
Caro Aldo,
nell’intervista a Giampiero Mughini lei definisce Umberto Eco il più importante intellettuale italiano del dopoguerra. E Norberto Bobbio, dove lo mettiamo?
Daniele Borletti, Genova
Caro Daniele,
Idue nomi che lei fa sono complementari. Appartengono a generazioni diverse e hanno studiato campi diversi, ma hanno condiviso lo stesso humus. Si incontrarono nella fervida Torino degli anni 50 («Torino dura e viva» è il titolo del capitolo del Provinciale in cui Giorgio Bocca racconta quel decennio). Il giovane Eco, arrivato da Alessandria, seguì i corsi del professor Bobbio all’università, la cui sede era allora a Palazzo Campana, a due passi dai portici di via Po. Umberto frequentava allora l’Azione Cattolica, e poi sarebbe entrato nella neonata Rai con i suoi amici Furio Colombo e Gianni Vattimo (e si legò a Enza Sampò, che prima era fidanzata con un giovane giornalista siciliano, Emilio Fede). Frequentava quell’ambiente anche un promettente ragazzo di Trieste, Claudio Magris. Bobbio divenne l’editorialista principe della Stampa, il cui editore Giovanni Agnelli frequentava la casa sotto i portici di via Sacchi, vicino alla stazione di Porta Nuova. Eco ruppe con il suo maestro Luigi Pareyson, che gli aveva preferito Vattimo come erede, e insegnò prima alla Statale di Milano con Enzo Paci e Antonio Banfi, poi a Bologna, dove fondò la semiologia e il Dams. Entrambi conobbero grande fortuna editoriale, non solo in Italia: prima Eco con Il Nome della Rosa e gli altri romanzi, quasi tutti (cosa che non si fa mai notare) ambientati in Piemonte; poi Bobbio con il suo Destra e sinistra, pubblicato da Donzelli, che nel paesaggio della scienza politica sconvolto dal crollo del Muro risistemò alcuni fondamentali (a chi sostiene che destra e sinistra non esistono più, ricordo che Obama non fu Bush e Biden non è Trump; libero poi ognuno di scegliere). Nonostante il successo, sia Bobbio sia Eco — come Vittorio Foa e Franco Cardini, per citare un intellettuale di sinistra e uno di destra — restarono sino all’ultimo aperti al confronto con studenti, lettori, giornalisti, nonché disponibili a mansioni anche noiose tipo la rilettura delle bozze dei libri: a conferma del fatto che i veri grandi sono sempre persone accessibili, mentre quelli che se la tirano non valgono niente.