1943, tempo di decidere
«La scelta» di Walter Veltroni: una famiglia divisa (e una giovane coraggiosa) nella Roma bombardata
Immergersi nel nuovo romanzo storico di Walter Veltroni, mentre sugli schermi scorrono parole e immagini di guerra, aggiunge all’intensità del racconto un’urgenza personale. Urgenza di capire e di capirsi, perché nelle scelte dei personaggi del libro c’è più che mai anche la nostra. Veltroni racconta «una settimana particolare» della storia d’Italia, quella che va dal 19 al 26 luglio del 1943, dal bombardamento alleato del quartiere San Lorenzo all’arresto di Mussolini che innesca un immediato e colossale spogliarello politico. Nel volgere di poche ore, gerarchi e gerarchetti gettano nei tombini le camicie nere e i distintivi di partito. Tutti tranne uno, Manlio Morgagni, sodale di lunga data del dittatore, che per vent’anni ha impugnato l’agenzia di stampa Stefani come un megafono di regime.
Fin dalle prime pagine si capisce che Veltroni prova stima o comunque grande rispetto per l’uomo. Non per il fascista, né per il giornalista. Per l’uomo. La sua coerenza e la sua fedeltà a un’amicizia più che al proprio tornaconto personale sono valori assoluti che trascendono le ideologie. E Veltroni li lascia trasparire per contrasto, descrivendo la mediocrità dell’Italietta fascista: quella di sempre, ma non sempre quella di tutti. Perché c’è un popolo che talvolta si rivela migliore di chi lo comanda e che nel romanzo è rappresentato da una famiglia ben inserita nel sistema, sia pure ai livelli più bassi. Quella di Ascenzo de Dominicis, commesso dell’agenzia Stefani, un fascista della prima ora cresciuto con il mito di Mussolini e di Morgagni.
Prima ancora dei suoi personaggi, è proprio l’autore ad avere compiuto La scelta che dà il titolo al libro (Rizzoli). Veltroni avrebbe potuto raccontare la caduta del Duce dalla prospettiva scontata di un antifascista o di uno di quei voltagabbana che vediamo agitarsi sullo sfondo nelle ultime pagine. Invece ha deciso di farci entrare nella casa di un fascista sincero — convinto anche se non fanatico — e di mostrarci, anche lì, l’uomo che sta dietro al fascista. Un uomo che, scena dopo scena, è costretto a prendere atto dello sgretolarsi di tutto ciò in cui ha creduto, a cominciare dal suo ruolo all’interno della famiglia e della società. C’è un passo quasi comico, se non fosse drammatico, in cui l’usciere dell’agenzia Stefani assiste al giubilo di tanti ex fascisti alla notizia della caduta del governo Mussolini. «Io non so che fare: se partecipare fintamente a questa gioia che non condivido, almeno credo, oppure ostentare la mia tristezza, coerente con le mie idee. Non so cosa sia giusto. E allora mi rifugio nel bagno, chiudo la porta e mi siedo sulla tazza. Non piango, ho persino paura di farlo».
Ascenzo ha una moglie, Maria, che fin dalle prime righe vediamo muoversi «come una faina» per procacciare cibo ai suoi cari, e due figli diversissimi che col passare delle ore, delle pagine e purtroppo delle bombe si scopriranno sempre più simili. Margherita è una ragazzina insicura e spaventata: diventerà coraggiosa e determinata. Arnaldo un giovane dalle idee e dalle pulsioni confuse, ma destinato a dare senso e sostanza alla sua ribellione generazionale con l’adesione all’antifascismo. La scena più forte del romanzo, se si escludono ovviamente quelle del bombardamento di Roma, è il conflitto tra padre e figlio. Dapprima si tratta di una sfida di silenzi, più che di parole. Poi di uno scontro fisico, con il figlio che arriva a mettere le mani addosso al padre. Veltroni sembra suggerirci che il regime finisce in quel momento: quando per la prima volta, in una famiglia qualsiasi, il potere assoluto del Padre-Duce viene posto brutalmente in discussione.
Per il resto, e che resto, il romanzo è tutto un cercarsi e un inseguirsi per le strade di una Roma sconvolta dall’impensabile: le bombe che piovono a grappolo sulla città del Papa. Veltroni racconta lo stupore, la paura, la rabbia e poi la disperazione e la ricerca di un capro espiatorio, che per il capofamiglia Ascenzo sono i crudeli Alleati, ma per il figlio Arnaldo e per la gente comune assume da subito i contorni di Mussolini, un fantasma che ci viene mostrato da lontano: fragile, malato e succube dei deliri di Hitler.
Ci sono momenti nella vita in cui bisogna scegliere non tanto da che parte stare, ma che cosa si vuole essere. Spesso è solo sotto pressione che il nostro carattere finalmente si rivela, anzitutto a noi stessi. E così può succedere che Manlio Morgagni decida, lui solo, di fare i conti con la Storia. E che a casa di Ascenzo siano le donne, madre e figlia, a prendere in mano le redini della famiglia, grazie a quel talento tutto femminile di comandare senza imporre, con l’ascolto e il convincimento, di cui mai come in questi giorni sentiamo tanto il bisogno.
Nella vita Ci sono momenti in cui bisogna scegliere non tanto da che parte stare, ma cosa si vuole essere