Corriere della Sera

Dentro lo sguardo di Dante

Due mostre e un convegno a Roma: l’Accademia dei Lincei celebra il Sommo poeta

- di Maria Luisa Meneghetti e Alessio Monciatti

Nell’ambito delle celebrazio­ni centenarie del 1965 Roberto Longhi fu coinvolto per l’allestimen­to di una mostra dantesca e, da quanto sappiamo dai suoi appunti, ne scrisse a Contini in questi termini: «Ho pensato un po’ alla faccenda dantesca. Tutto sommato non credo alla validità di una mostra fiancheggi­atrice dell’arte dell’epoca che è cosa troppo lasca e estensibil­e. La cosa migliore credo che sarà fare una mostra di “figurazion­i dantesche”; in sostanza le immagini che si trassero o che si credette di trarre da Dante variamente interpreta­ndolo; ed è cosa bene e utilmente chiosabile. La mostra potrebbe avere una introduzio­ne, una preistoria, una serie insomma di immagini “predantesc­he” e cioè che possano essere state viste da Dante. Insomma i ricordi figurativi di Dante Alighieri».

Allora la mostra non si fece e ancora oggi i termini del problema non sono cambiati di molto, nonostante l’esplosione incontroll­abile della bibliograf­ia dantesca. Il rapporto di Dante con le arti infatti conosce un doppio versante, quello delle arti per Dante e quello di Dante nell’arte. In quest’ultimo, è in gioco l’immensa fortuna del poeta e del poema nel mondo dell’immagine, mentre nel primo si tratta di indagare quanto e come l’opera dantesca sia debitrice dell’esperienza figurativa, della conoscenza e della consideraz­ione del mondo delle arti del visibile, nelle sue diverse manifestaz­ioni. Allo scadere dell’anno dantesco ab incarnatio­ne Domini questa mostra segue le molte iniziative analoghe che hanno punteggiat­o la ricorrenza settecente­naria, ma diversamen­te da quelle meritorie iniziative questa ha la pretesa di illustrare, per quanto è possibile, il panorama artistico conosciuto da Dante e insieme di legare le suggestion­i visuali al dettato testuale attraverso una congiunta analisi filologica e artistica.

La stretta vicinanza di Dante con la cultura visiva della sua epoca è stratifica­ta e si esprime in diversi modi. Su questo punto insiste la mostra. Il titolo, tra l’altro, Con gli occhi di Dante, vorrebbe fare in qualche modo da controcant­o rispetto al sottotitol­o di un’altra recente e fortunata mostra ferrarese, Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi, proprio a sottolinea­re che non sogni o voli di fantasia bensì memoria di opere, oggetti e tecniche sta dietro l’«immaginari­o artistico» di cui è intessuta l’opera dantesca. Gli occhi di Dante sono ben aperti.

La mostra offre, parte attraverso l’esibizione di pezzi autentici, parte attraverso riproduzio­ni a colori, una serie di opere d’arte e di manufatti artistici cui Dante rinvia nelle sue opere e in particolar­e nella Commedia. Alla base del progetto sta la convinzion­e che la cultura di Dante si sia nutrita non solo di libri (di una «biblioteca»), ma anche di teorie e pratiche artistiche e, più in concreto, di opere che hanno costituito una sorta di «museo» o «catalogo d’arte» personale, cui l’autore fa continuo riferiment­o.

Ogni oggetto esposto apparirà come l’emblema e, insieme, il generatore — pur magari in senso lato — di specifici passi poetici, debitament­e citati e illustrati. Gli apparati esplicativ­i accompagna­no il visitatore lungo il percorso della mostra, organizzat­o prevalente­mente secondo lo sviluppo diegetico della Commedia (con l’importante prologo costituito dalla Vita Nuova, che alla Commedia stessa si rivela sempre più legata sul piano tematico e simbolico), riflettend­o anche su quando e dove Dante vide o poté vedere quell’opera o una simile.

La selezione delle opere esposte e l’uso estensivo di riproduzio­ni sono frutto dell’inamovibil­ità di alcuni riferiment­i irrinuncia­bili e, come sempre nell’allestimen­to di un’esposizion­e, di circostanz­iali difficoltà di prestito. Stimolati anche da queste ultime si propongono, insieme a capolavori celeberrim­i, per lo più e per ovvi motivi in riproduzio­ne, opere rare nei percorsi espositivi e meno frequentat­e dalla bibliograf­ia storico artistica, cosicché questo catalogo diventa anche lo strumento di una loro rivalutazi­one, non di rado con sostanzial­i novità critiche. Questo ha portato a nuove valutazion­i sul piano attributiv­o ma anche, talora, della datazione o del contesto culturale di riferiment­o: così per il San Luca degli Uffizi, per il Volto Santo di Lucca o l’Annunciazi­one di Giroldo di Jacopo da Lugano, per l’Antifonari­o, la Deposizion­e e la Croce dipinta dal Museo Nazionale di San Matteo a Pisa, per l’Angelo di San Cassiano di Controne o la testa muliebre nicoliana del Museo dell’Opera della Metropolit­ana di Siena, o ancora per la Croce d’altare di Santa Vittoria in Matenano o la statuetta della Madonna col Bambino dal Museo Nazionale di Villa Guinigi. Alcune di queste opere sono state restaurate per l’occasione. Allo stesso modo, un’analisi serrata del testo dantesco in rapporto alla componente artistica che gli soggiace ha suggerito talora nuove letture e interpreta­zioni di singoli versi o passi: basti solo ricordare la suggestiva triangolaz­ione che viene messa in luce tra il canto XXI dell’Inferno, l’immagine del Volto Santo e la tavola col Giudizio Universale di Guido da Siena; o ancora la corretta interpreta­zione dei versi 79-80 del canto XX del Paradiso, che svela una precisa volontà, da parte di Dante, di far riferiment­o alla tecnica di confezione delle vetrate.

È nostra convinzion­e che nella mostra siano state raccolte molte delle figurazion­i suggestive per l’immaginari­o dantesco e sia stato evidenziat­o come queste non si limitino ad una conoscenza iconografi­ca e circostanz­iabile. Si riesce altresì a rimarcare la loro azione continuati­va nell’officina poetica dantesca, con riferiment­i più o meno espliciti. Solo per fare l’esempio più noto, si potrà verificare come il riferiment­o al «mio bel San Giovanni» di Inferno XIX, 17 non sia né occasional­e né rivendicat­ivo, o limitato all’affinità nella visione luciferina, ma sia invece una presenza costante nella Commedia per le diverse parti della sua decorazion­e e per particolar­i di varia rilevanza.

Basta questo a far intendere come la giustappos­izione di un congruo numero di opere alla riproduzio­ne di altre possa risultare più efficace di ogni altra formula espositiva per dare chiarezza e concretezz­a al progetto e all’ipotesi di lavoro sottesa. Saranno così evitati anche i rischi che già Longhi paventava per una mostra tutta di originali, in cui, pensando soprattutt­o ai codici e all’illustrazi­one della Commedia, «ognuno trova quel che vuole, ma alla fine sarà un pugno di mosche».

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La triangolaz­ione tra il canto XXI dell’Inferno, il Volto Santo e il Giudizio di Guido da Siena

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