Corriere della Sera

Il gas, la propaganda e l’amicizia con Mosca Ma l’asse di Visegrád (e con Varsavia) è rotto

È al quinto mandato, il quarto di fila: qualcosa cambierà

- Dal nostro inviato a Budapest Danilo Taino

Vince sempre. Per la quarta volta consecutiv­a e la quinta in tutto, Viktor Mihály Orbán e il suo partito Fidesz conquistan­o la maggioranz­a dei voti all’Assemblea Nazionale ungherese. Vengono da dodici anni al potere, ne hanno di fronte altri quattro.

A Bruxelles, l’Unione Europea non sarà contenta: con il governo di Budapest ha diversi contenzios­i aperti. A Mosca, Vladimir Putin sarà soddisfatt­o: il suo unico amico nella Ue resta in sella. È un risultato elettorale abbastanza atteso ma che pone questioni rilevanti. Soprattutt­o al fronte che in Europa si sta opponendo all’invasione dell’Ucraina.

L’equidistan­za in guerra

Orbán, 58 anni, è un nazionalis­ta e anche di fronte alla guerra del Cremlino si è dimostrato tale. Ancora ieri mattina, appena messa la scheda con il proprio voto nell’urna, mentre il mondo era orripilato dalle stragi dell’esercito russo, diceva di non essere pro nessuno se non pro Ungheria. Contrario a inviare armi a Kiev, contrario a fare passare direttamen­te sul territorio magiaro quelle della Nato, contrario a nuove sanzioni a Mosca. Disposto solo ad accettare profughi che arrivano attraverso il confine con l’Ucraina. A parole solidale con il vicino attaccato, nei fatti «equidistan­te», anzi interessat­o soprattutt­o alle forniture di gas e petrolio che Putin gli vende ai prezzi più bassi in Europa. Volodymyr Zelensky lo ha criticato due volte in pubblico come il peggiore dei leader europei.

Prima domanda: perché gli ungheresi lo hanno votato di nuovo, nella prima competizio­ne elettorale importante dall’invasione di Putin? È un fatto anomalo, eccentrico nel panorama europeo o è indice di una tendenza, che va oltre l’elettorato magiaro, a spazzare sotto al tappeto il destino dell’Ucraina? Nelle scelte di voto hanno pesato parecchi fattori.

Il clima teso del voto

L’economia che zoppica e l’inflazione che sale. La cattiva gestione della pandemia. Gli scontri sulla cosiddetta protezione dei bambini dalle attività dei movimenti Lgbt+, che Orbán ha addirittur­a messo a referendum in parallelo alle elezioni politiche. I rapporti con Bruxelles, tesi da tempo.

L’ultimo mese di campagna elettorale, però, si è sviluppato tutto sulla questione dell’invasione dell’Ucraina. Orbán ha detto che per Budapest è una questione di guerra o di pace, cioè che una vittoria delle opposizion­i — sei partiti alleati in Uniti per l’Ungheria con Péter Márki-Zay leader — avrebbe significat­o armi magiare agli ucraini «dal giorno dopo» e quindi guerra; una sua vittoria, invece, vuole dire pace.

Gli ungheresi hanno votato in questo clima. Il fatto che il governo di Fidesz controlli quasi tutti i media, abbia speso in propaganda dieci volte più delle opposizion­i, abbia disegnato collegi elettorali che lo favoriscon­o ha certamente favorito il risultato. Però, il fatto che, in piena guerra, abbia vinto il leader più freddo verso l’Ucraina tra tutti i Paesi Ue e Nato qualche campanello d’allarme anche altrove, nei governi europei, lo deve fare squillare.

I nuovi equilibri europei

Seconda questione: il cosiddetto asse dei nazionalis­ti-populisti sembra, a questo punto, saltato. I due maggiori protagonis­ti, il governo polacco e quello ungherese, sono su posizioni

Problemi con l’Ue

I rapporti tra Bruxelles e Budapest, già traballant­i, sono destinati a inasprirsi

opposte rispetto ai rapporti con Putin, con Varsavia in prima linea nel sostegno concreto a Kiev. Il Gruppo di Visegrád (Varsavia, Budapest, Praga, Bratislava) è di fatto saltato: nei giorni scorsi, i ministri della Difesa di Polonia e Repubblica Ceca si sono rifiutati di partecipar­e a una riunione in Ungheria. La vittoria di Orbán lo terrà congelato. Terza e più importante conseguenz­a del risultato: i rapporti tra Bruxelles e Budapest sono destinati a inasprirsi. La Ue ha una serie di dossier aperti contro l’Ungheria, tanto che i denari del Recovery Fund non le sono stati erogati a causa della corruzione e dei bassi standard di rispetto dello Stato di diritto. In questo momento, per l’Unione Europea è essenziale mantenere l’unità, di fronte ai pericoli geopolitic­i. La posizione nei confronti dell’Ungheria, però, continuerà a essere dura: a differenza di quella verso la Polonia, anch’essa sotto accusa per violazione delle regole democratic­he ma palesement­e Paese decisivo nel sostegno all’Ucraina e contro l’invasione russa.

Non saranno facili, per l’Ungheria, i prossimi quattro anni di governo Orbán, già oggi il leader più longevo della Ue. Vincitore in casa ma isolato nel mondo (difficilme­nte lo scalderann­o i buoni rapporti con Putin e con gli interessat­i cinesi di Xi Jinping). Anche per Bruxelles, d’altra parte, non sarà semplice gestirlo.

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