Colpi proibiti al saloon Allianz Irrati e Var galleggiano a fatica
Inzaghi: «Una tappa fondamentale, la società mi ha chiesto il rinnovo»
TORINO Per la rabbia, aveva gettato via il cappotto, ma appena è finita Massimiliano Allegri mette il silenziatore alle polemiche, che pure c’erano state, sul prato: «Preferisco parlare della prestazione della Juve, e ora si finirà di dire che siamo in corsa per lo scudetto». Può invece sorridere, quasi afono, Simone Inzaghi: «Questa è una tappa fondamentale — dice l’allenatore dell’Inter — e in queste partite che mancano alla fine dovremo recuperare i punti che abbiamo perso». Pausa: «Ho un contratto di due anni e la società mi ha chiesto di prolungarlo, ma stiamo aspettando a fine stagione». Ieri sera ha ripreso la rincorsa, in una sfida che pareva un saloon, tra calci in faccia (Lautaro su Locatelli), autoscontri (5 ammonizioni nel primo tempo, 8 alla fine), e il lungo piano sequenza con il quale Massimiliano Irrati da Pistoia mette sotto sequestro la sfida e, anche, lo spettacolo, fin lì niente male, almeno per ritmo e brividi.
Il ciak arriva sul finale di primo tempo, con il tamponamento di Alex Sandro su Dumfries e, soprattutto, il pestone che gli pianta Morata: inizialmente l’arbitro, che pure aveva buona visuale, lascia correre, salvo poi sintonizzarsi su radio Var, da dove trasmette il collega Paolo Mazzoleni. Morale: gli basta rivedere il moviolone a bordo campo per cambiare idea e concedere il rigore all’Inter. Mica finita. Perché sulla respinta di Szczesny, davanti allo sparo di Calhanoglu, si addensa un’altra mischia, e un discusso gol, che dà vita al sequel (del Var). Bisogna ripetere tutto, perché
il bianconero entrato in anticipo in area è proprio quello arrivato per primo sul tap-in. Va da sé, mentre in tribuna Steven Zhang e Beppe Marotta s’abbracciano, a tempo di Var, ovviamente, attorno già divampa il pandemonio di proteste, tra un Allianz Stadium finalmente stipato e un Allegri furibondo, addosso a Davide Ghersini, il quarto uomo. Per rendere l’idea, l’allenatore juventino arriva al picco dell’incavolatura, il lancio del cappotto. Uno strip-tease inaugurato nel dicembre 2015 (Carpi-Juve 2-3), e ormai da aneddotica. Per ingrossare l’almanacco delle polemiche, già l’anno scorso Irrati aveva contribuito a griffare a modo suo il derby d’Italia, quello finito 3-2 per i bianconeri, dopo un western da tre rigori e due espulsioni. Quella volta, con Calvarese a dirigere sul prato, Irrati era appostato sulla seggiola del Var.
E meno male che, prima dell’inizio, c’era stato l’inno alla pace, con la parola scritta in tutte le lingue sui tabelloni pubblicitari di bordo campo, seppure per faccende infinitamente più tragiche. L’artista italo-brasiliana Gaia e la cantante ucraina Kateryna Pavlenko, leader del gruppo Go_A, avevano infatti intonato «Imagine», di John Lennon, l’una di fronte all’altra, a centro campo, vestite di bianco e con i fiocchi ai polsi, dei colori dell’Ucraina. Le squadre attorno, mischiate e abbracciate, mentre nel buio delle tribune brillavano le luci dei telefonini, come ai concerti. Insomma, dolce e commovente. Peccato per il solito gruppo di decerebrati, che si erano messi a fischiare; per essere sepolti dagli applausi di tutta l’arena, che poi aveva accompagnato le cantanti. Occasioni, spintoni e proteste ci sono state «Fino alla fine», come diceva la coreografia del pre-partita, lucidando il motto della casa, anche nelle lamentele, di Chiellini e Zakaria, mentre Irrati se ne andava negli spogliatoi, dopo il gong.
Massimiliano Nerozzi
Allegri Preferisco parlare della prestazione, adesso la finiranno di darci in corsa per lo scudetto