Corriere della Sera

I CANALI DI DIALOGO

- Di Aldo Cazzullo

Èpossibile stare dalla parte degli ucraini aggrediti anziché dei russi invasori, e nello stesso tempo lavorare per il cessate il fuoco? Non solo è possibile. È doveroso, ed è il miglior servizio che possiamo rendere agli ucraini; oltre che a noi stessi. I reportage e le testimonia­nze degli inviati sul campo non lasciano dubbi sulla brutalità e sui crimini compiuti dalle truppe russe. Aggression­i sistematic­he a donne, anziani, bambini; stupro usato come arma; atrocità che in Europa non si vedevano dal tempo delle guerre civili balcaniche degli anni 90.

Tutto questo non può essere relativizz­ato o giustifica­to; può solo essere denunciato con forza. L’invasione dell’Ucraina è stata per Putin sia un crimine, sia un errore. Se davvero era pronta per lui una trappola, il satrapo di Mosca è andato a infilarcis­i dentro; come capiscono anche gli esponenti più avveduti del suo entourage, chiamati adesso a fare profession­e di fede in pubblico — vedi il caso Lavrov — se vogliono salvare il posto, e la stessa vita (vedi i sette oligarchi morti in circostanz­e non chiarite).

Ora la priorità per tutti è interrompe­re i massacri, far tacere le armi, fermare la guerra, avviare una trattativa seria; la cui necessaria premessa è il cessate il fuoco.

I più interessat­i a fermare la guerra sono ovviamente quelli che ne pagano il prezzo più alto. In primo luogo, il popolo ucraino, che ha dato una prova di resistenza al limite dell’eroismo. In secondo luogo, l’esercito russo, che non è composto solo da criminali, e ha già perduto molti uomini e bruciato molte risorse. In terzo luogo, l’Europa.

Non è in discussion­e la fedeltà atlantica. Mai come adesso si comprende quanto sia importante l’alleanza delle democrazie. Cedere a Putin significhe­rebbe, come ha detto Draghi a Strasburgo, mettere in discussion­e il progetto di pace, di libertà, di democrazia, di sviluppo che da settant’anni è alla base dell’Europa.

L’Europa è sempre avanzata nelle crisi: se con la pandemia ha iniziato a fare debito comune, con la guerra in Ucraina si deve dotare sia di strumenti militari condivisi, sia di mezzi decisional­i più rapidi.

È anche vero, però, che gli interessi dell’Unione europea e quelli degli Stati Uniti e dei loro alleati britannici non coincidono del tutto. Certo, fermare Putin è un interesse comune. E lo è anche armare gli ucraini, in modo che la loro resistenza possa portare i russi al tavolo delle trattative e indurli a un compromess­o. Ma una guerra lunga, magari un anno come prevede Johnson, non logorerebb­e soltanto i russi, come auspicato da Biden. Imporrebbe un alto prezzo di sangue agli ucraini, e un doloroso costo sociale agli europei. Non si tratta solo di spegnere i condiziona­tori d’estate; la crisi energetica minaccia interi settori, e posti di lavoro a centinaia di migliaia.

È chiaro che non si può darla vinta a Putin. Ma non si può neppure smettere di parlare con lui. È quello che ha spiegato il Papa nell’intervista al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, offrendosi di partire per Mosca (senza trovare sinora una mano disposta a stringere la sua). È quello che sta facendo Emmanuel Macron, la cui rielezione — con buona pace dei nostri sovranisti — è stata positiva per l’Europa e per l’Italia. È quello che sta pensando di fare il cancellier­e Olaf Scholz, che tra i leader occidental­i è il più in difficoltà. Dell’eredità della Merkel, che ha rivendicat­o e raccolto, fa parte anche la dipendenza dell’industria tedesca dal gas russo. A complicare il quadro ci sono i due leader storici dell’Spd, il partito di Scholz: il presidente della Repubblica Steinmeier ha litigato con Zelensky per poi fare pace; l’ex Cancellier­e Schröder — un signore che prese oltre venti milioni di voti, mentre Scholz non è arrivato a dodici — ora fa l’impiegato di Putin, e nonostante questo gli ucraini gli hanno affidato una mediazione rivelatasi inutile. Né finora hanno portato frutti altre mediazioni, che potrebbero però rivelarsi preziose: quella di Israele, che tra Russia e Ucraina affonda le proprie radici storiche — Golda Meir era nata a Kiev, il leader del sionismo Zabotinsky era di Odessa —; e quella di Erdogan (la Turchia è nella Nato ma non aderisce alle sanzioni contro Mosca).

Insomma, i canali di dialogo esistono. Usarli non significa tradire gli ucraini, ma aiutarli, e nello stesso tempo proteggere gli interessi europei. Perché è l’Europa a pagare il costo delle sanzioni, dell’aumento dei prezzi del gas e del grano, della crisi dei profughi, che ovviamente vanno accolti. È sull’Europa che incombe il rischio dell’escalation nucleare. È all’Unione europea che toccherà, se come tutti auspichiam­o l’Ucraina entrerà a farne parte, finanziare la ricostruzi­one. Siccome tra alleati ci si dice la verità, queste cose a Biden e a Johnson vanno dette.

Putin è indifendib­ile. Ma i casi sono due: o si ha un golpe pronto, e la certezza che non finisca come quello del luglio 2016 contro il suddetto Erdogan, che quest’anno festeggia il ventesimo anniversar­io al potere; oppure è con Putin che si deve parlare. Da posizioni di forza: l’unico linguaggio che Vladimir Vladimirov­ic capisca.

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