QUEI PACIFISTI CIECHI E IL PROBLEMA DELLA GUERRA GIUSTA La riflessione
«Dopo gli spaventosi bagni di sangue delle ultime guerre mondiali, in Europa il conflitto non lo vuole più nessuno. Ma non sempre è evitabile»
Il testo di questa pagina è stato preparato dal professor Marco Valbruzzi (Università Federico II di Napoli) che da tempo si occupa dell’archivio di Giovanni Sartori (19242017) e ha elaborato gli estratti di due articoli del politologo usciti sul Corriere della Sera («Il mondo irreale dei “ciecopacisti”», 18 ottobre 2002, e «Il presidente guerriero», 29 gennaio 2010)
Chi vuole la guerra è un demente che vuole una cosa orribile. E dopo gli spaventosi bagni di sangue delle ultime guerre mondiali, in Europa la guerra non la vuole più nessuno. L’Occidente (salvo eccezioni balcaniche) lo ha capito e ne è profondamente convinto. Ma non è sempre evitabile.
Per questa ragione, chi oggi distingue tra pacifisti e guerrafondai disegna una distinzione fuorviante. La distinzione che ci divide è tra pacifisti incoscienti — che dirò «ciecopacisti» — e pacifisti pensanti. Il ciecopacista non sente ragioni, è tutto cuore e niente cervello. Gino Strada, che è stato il guru dei pacifisti laici, scriveva così: «Può darsi che il movimento per la pace non sia in grado di far cadere un dittatore, ma una cosa è assolutamente certa, che... non ne ha mai creati né aiutati a imporsi». Purtroppo no. Purtroppo Strada era assolutamente certo di cose assolutamente false. I pacifisti degli anni ’30 hanno aiutato Hitler a imporsi, così come i pacifisti della guerra fredda — gridando better red than dead, meglio rossi che morti — invitavano l’Unione Sovietica a invadere una Europa che non si sarebbe difesa. Il Paternostro recita: «Non indurci in tentazione». Lo recitano ancora, il Paternostro, i nostri pacifisti chiesastici? E se lo recitano, perché non si chiedono se il loro pacifismo assoluto — che è in sostanza un pacifismo di resa — non induca in tentazione i malintenzionati non ancora convertiti in agnelli? Quanto ai nostri ciecopacisti laici, a loro ricordo il detto che è l’occasione che fa l’uomo ladro. Non ci credono? Provino a lasciare spalancate le porte delle loro case. Saranno svaligiate anche e proprio da ladri creati dall’occasione.
Ciò premesso, qual è il senso, oggi, della classica distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta? Mi dispiace per i ciecopacisti — accecati dalla loro ossessione — ma un Paese che si difende dall’attacco di un altro Paese combatte una guerra giusta. Però la nozione di guerra giusta non include soltanto la guerra difensiva. Per esempio una guerra che si propone di abbattere un tiranno e di instaurare la democrazia è una guerra giusta? Questa è sempre stata l’ideologia missionaria degli Stati Uniti invocata da ultimo dal presidente Bush jr per giustificare, in mancanza di meglio, l’assalto all’Iraq. Ma è una dottrina che non ci possiamo più permettere; senza contare che in moltissimi casi è destinata a fallire. Nel caso dell’Iraq il successo è stato di abbattere un tiranno sanguinario e pericoloso per tutti; ma il «successo democratico» di quella guerra è molto dubbio.
Le armi chimiche
E in Afghanistan? Anche lì guerra giusta per imporre democrazia? Per carità, scordiamocene. Lì si trattava di pura e semplice guerra necessaria resa obbligatoria ai fini della salvezza di tutto l’Occidente. Per decenni abbiamo temuto l’annientamento nucleare. Ma il pericolo delle armi atomiche è fronteggiabile. E comunque il pericolo maggiore è diventato quello delle armi chimiche e batteriologiche «tascabili». Qui la cattiva notizia è che mezzo chilo di tossina botulinica potrebbe uccidere un miliardo di persone. E l’Afghanistan conquistato (riconquistato) dai talebani, e al servizio di Al Qaeda, pone questo problema. Pertanto scappare non è stata una buona soluzione. Ma è anche vero che la guerra com’è stata combattuta in Afghanistan, la guerra di occupazione e controllo del territorio contro un nemico invisibile, non può essere vinta.
Fortuna vuole che ai pacifisti incoscienti si contrappongano i pacifisti pensanti che rifiutano la guerra offensiva ma approvano la guerra difensiva, che distinguono tra guerra ingiusta e guerra giusta e che fanno sapere che si difenderanno se attaccati. Il mondo libero deve la sua libertà a questo pacifista con la testa sul collo. Ma anche lui si trova a disagio al cospetto della nuova idea della guerra preventiva.
Il conflitto diffuso
Mi si dirà che la guerra preventiva è sempre esistita. Sì; ma no. No nel senso che oggi la dottrina della guerra preventiva si fonda su una nuova ragion d’essere che si inserisce in un nuovo contesto: il contesto di quella guerra che Umberto Eco ha battezzato «guerra diffusa». Nelle guerre del passato esistevano due (o più) nemici ben riconoscibili i cui eserciti si fronteggiavano lungo una frontiera che era il limite da superare. Queste guerre erano dunque caratterizzate da una frontalità territoriale. Nella nuova guerra l’attaccante è un terrorismo globale ispirato da un fanatismo religioso — e quindi senza precisa patria — che non si lascia localizzare, che è dappertutto, e che opera nascondendosi. In questa guerra diffusa, latente, ma per ciò stesso sempre pronta a colpire, l’attaccato non sa più chi contrattaccare. O meglio: può solo attaccare le infrastrutture dove vengono prodotte le armi dei terroristi e gli Stati che li «supportano».
L’altro aspetto del problema è che la guerra terroristica dispone di nuove armi chimiche e batteriologiche. Qui la novità è tecnologica. E il fatto è che oggi disponiamo di una tecnologia facilmente nascondibile il cui potenziale distruttivo è terrificante. Prima c’era il cannone e c’era la corazza. Oggi la corazza non c’è quasi più, e il cannone è diventato gigantesco. Una sola persona può avvelenare l’acqua potabile di un milione di persone. Il ciecopacista non lo vede, ma il problema è questo.
Qui interessa capire quale sia la ragion d’essere di una guerra preventiva. Se questo nuovo diritto di guerra si applichi o no (e con quali procedure) ai vari casi concreti, è una questione a parte. Una cosa per volta. E questa volta il punto è che, a fronte della altissima vulnerabilità e facile «uccidibilità» delle società industriali avanzate, il pacifista di oggi è ancor più cieco e malconsigliante di quello del passato.
Fortuna vuole che ai pacifisti incoscienti si contrappongano i pacifisti pensanti: rifiutano la guerra offensiva ma approvano quella difensiva, distinguono tra guerra ingiusta e giusta e fanno sapere che si difenderanno se attaccati. Il mondo libero deve la sua libertà a questo pacifista con la testa sul collo