LE TENTAZIONI PERICOLOSE DI UN GRILLISMO IN CONFUSIONE
Il sospetto che Giuseppe Conte voglia puntellare la leadership tra i grillini scaricando i problemi dei Cinque Stelle e suoi personali sulla maggioranza è sempre più corposo. E gli inviti a uscire dal governo che arrivano quasi quotidianamente dai settori del Movimento orfani di Palazzo Chigi, ne sono una controprova. Si abbinano a pesanti sarcasmi contro il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, considerato troppo atlantista e silente nel suo appoggio a Mario Draghi. E rivelano la tentazione di provocare un incidente sulla politica internazionale.
Per paradosso, la visita a Washington che il premier sta per iniziare coincide con un irrigidimento da parte del M5S. Nella cerchia di Di Maio si parla da tempo di un Conte che, dimentico dei due anni da premier, prima con la Lega, poi col Pd, avrebbe imboccato una linea estremista. L’ipotesi di una mozione grillina contro l’invio di armi all’Ucraina appare a intermittenza. Segnala la deriva che il leader del M5S condivide con Beppe Grillo e parte della nomenklatura, in nome di un pacifismo che perfino alcuni vescovi definiscono ingenuo e rischioso. Da tempo, anche al Quirinale osservano con disappunto i distinguo di Conte rispetto al presidente del Consiglio. E, per quanto siano visti come sintomi di debolezza, preoccupano per la percezione dell’Italia che trasmettono all’estero e per la tenuta interna. Alla vigilia dei colloqui di Draghi con il presidente Usa Joe Biden, Conte fa sapere che sarebbe «molto deluso» se partisse «senza passare dal Parlamento». E resterà tale perché Draghi si presenterà solo il 19. Conte sostiene che le Camere «ma direi l’intero popolo italiano», sarebbero legittimati a esprimere «una nota di indirizzo». Sembra un tentativo di screditare come elitario un esecutivo sostenuto da una maggioranza che include il M5S; e di presentarsi come portavoce popolare, dimenticando la risoluzione di fine marzo con la quale il Parlamento ha autorizzato Draghi a garantire aiuti anche militari all’Ucraina. In realtà, la sua offensiva contro premier e ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è considerata un pretesto polemico. Risponderebbe al calcolo spregiudicato di inseguire un elettorato che in larga parte ha già abbandonato i Cinque Stelle. Punta a riesumare un ruolo, anche solo residuale, di portavoce di posizioni caratterizzate dalla diffidenza verso la Nato e l’Ue, in nome di un negoziato che Mosca finora ha rifiutato: un ritorno al passato nel momento di massimo sforzo dell’Occidente nel sostegno a un’Ucraina invasa dal presidente russo Vladimir Putin. La domanda è fino a che punto il M5S potrà tirare la corda; e a quale prezzo per lo stesso Conte, che di colpo potrebbe ritrovarsi in un vicolo cieco.