UN FIUME DI STORIA
Oggi il Giro celebra il fascino di Budapest. La sua identità scorre lungo il Danubio e sui suoi ponti, luogo di memorie lievi e tragiche
Dolce la primavera a Budapest, quando sfavillano le tegole sul tetto multicolore della chiesa di Mattia e le acacie rabbrividiscono nella brezza lieve che sale dal fiume. Il Danubio giallastro e fangoso di Claudio Magris vira al blu di Strauss, fila tra i pilastri dei ponti, riflette in un tremolio d’acque archi e guglie del Parlamento.
La tappa a cronometro nella seconda giornata del Giro d’Italia attraversa il tempo stratificato della capitale ungherese, dalla spianata di Pest alle colline di Buda. Lasciata alle spalle con la prima tappa la piazza degli Eroi dove il 16 giugno 1989 si tennero i solenni funerali per la riabilitazione di Imre Nagy, il premier della rivoluzione anti-sovietica del 1956, si parte dalla Via Izabella che incrocia la strada più elegante e celebrata, quel viale Andrássy adornato al tramonto dell’Ottocento con facciate liberty e vezzi parigini, scena magnifica della Belle Époque magiara tra teatri, ristoranti ed eterni caffè. Il più bello, ritrovo di artisti e intellettuali sul viale Elisabetta, il New York Café: leggenda vuole che le chiavi riposino sul fondo del fiume dopo che Ferenc Molnár, l’autore de I ragazzi della via Pál, le lanciò in acqua perché il New York non chiudesse mai. Budapest vibrante e sensuale, con Vienna capitale dell’Impero Austro-Ungarico, che con Vienna condivise il senso di perdita per la passata grandezza rimasto in circolo come un veleno.
Più avanti un’ombra scruta l’orizzonte dal ponticello di bronzo di una statua nella piccola, riparata, piazza Jászai Mari. Cappello e occhialini tondi, ombrello al braccio, è Nagy, spostato qui nel 2019 dalla più visibile piazza dei Martiri a pochi passi dal Parlamento. Il trasferimento fu l’ennesimo colpo alla memoria piegata alle ambizioni del nazionalismo orbaniano, giunto a rinnegare il comunismo riformista dell’eroe condannato a morte nel 1958. Pensare che davanti all’immensa folla del rito laico dell’89 prese la parola un giovane leader d’opposizione che proprio nel nome di Nagy osò sfidare Mosca e chiedere libere elezioni: aveva 25 anni e si chiamava Viktor Orbán.
Dal lungofiume dedicato a József Antall, il primo capo di governo democraticamente eletto dell’Ungheria post-comunista, il Giro si
Sul viale Elisabetta, tra edifici ottocenteschi, il più bel ritrovo di artisti e intellettuali resta il New York Café: la leggenda vuole che lo scrittore Ferenc Molnár lanciò le chiavi del locale in acqua perché non chiudesse mai
arrampica sul ponte che tocca l’antica isola delle Lepri, poi rinominata in omaggio a Margherita, la santa principessa che lì visse ritirata dal mondo, figlia del re Béla IV che ricostruì l’anima della nazione dopo l’invasione mongola del 1241. È la Grande pianura, crocevia di traffici, preda di eserciti, cuore della Mitteleuropa che nel continuo mutare dei confini mescola Oriente e Occidente come onde. Al centro dell’identità di Budapest stanno i ponti, a partire dal più antico e suggestivo, il ponte delle Catene primo collegamento stabile tra le due sponde: fino alla sua costruzione, tra il 1839 e il 1849, d’inverno s’aspettava che il ghiaccio indurisse tanto da poterci camminare. Sono i ponti fatti saltare durante l’assedio del 1944-45, la battaglia tra Wehrmacht e Armata rossa ribattezzata per ferocia «la seconda Stalingrado». Sul fiume si ritrovano dopo l’assedio per un infinito, assurdo intermezzo, Marika e Peter ne La donna giusta di Sándor Márai. Sul lungofiume, dal lato di Pest, restavano le scarpe delle vittime delle Croci frecciate filonaziste e dal 2005 sta il memoriale dell’Olocausto Scarpe sulla riva del Danubio, ispirato alla terribile scena del film di Félix Máriássy del 1955 tratto dal romanzo di Ferenc Karinthy, Primavera a Budapest. Dall’alto di Buda — centro storico con il castello, il Bastione dei pescatori, i mitici bagni Gellért — una donna leva al cielo la palma della vittoria, è il monumento alla Liberazione dal nazismo.
Alle spalle dell’isola Margherita, l’isola di Óbuda. Qui nel 1993 un gruppo di studenti organizzò un raduno musicale destinato a diventare uno tra i maggiori eventi rock del mondo, Sziget Festival. Da allora ogni estate più e meno giovani da tutta Europa si ritrovano su quest’isola di libertà.