«Geni da “zittire” in un sarcoma che mira ai bimbi»
Rabdomiosarcoma. Già la parola è difficile da pronunciare. Ancora più difficile è capire come nasce e come si sviluppa questo raro tumore che colpisce soprattutto i bambini, dai due mesi ai 5-8 anni.
Ci sta provando Silvia Pomella, biotecnologa, ricercatrice all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, che su questo ha pubblicato un articolo su Nature Communication nel 2021. Il titolo, da addetti ai lavori, è troppo complesso perché sia qui citato. Ma Silvia Pomella ci spiega la sua ricerca.
«Il rabdomiosarcoma è il più comune dei tumori pediatrici dei tessuti molli — dice Silvia Pomella —. Può colpire, cioè, i muscoli, il tessuto adiposo, quello connettivo, i vasi sanguigni, i legamenti, non tutti nello stesso momento. È diverso, per dire, dai sarcomi dell’osso che interessano, appunto, i tessuti duri».
Il rabdomiosarcoma rappresenta il 40 per cento del totale dei tumori dei bambini e il 7 per cento di quelli solidi (in generale i tumori pediatrici più frequenti sono quelli del sangue, le leucemie soprattutto).
Ci sono due tipi di rabdomiosarcoma: quello embrionale, che si pensa possa insorgere addirittura in utero, e quello cosiddetto alveolare, simile all’altro, ma più aggressivo.
È sul primo che si è concentrata l’attenzione di Silvia Pomella. E in particolare sulle cellule staminali embrionali di questo tumore.
Semplificando molto, data la complessità della materia, ecco quello che ci spiega Silvia Pomella:
«In questo tumore si riconoscono due molecole (si chiamano SNAI2 e MYOD, quelle della pubblicazione) capaci di interferire con quei geni che ne favoriscono l’espansione. Ma, al momento, non ci sono farmaci in grado di modularne l’azione. Così si può pensare soltanto a un intervento di silenziamento dei geni, tramite l’ingegneria genetica, per poter porre un argine a questa neoplasia».
Non è facile. L’idea è quella di forzare le cellule staminali del tumore a differenziarsi, appunto grazie all’ingegneria genetica, perché così diventerebbero più sensibili a certi farmaci, come la vincristina.
«Al momento questi tumori possono essere affrontati o con interventi chirurgici, o con la radioterapia o con la chemioterapia con vecchie molecole, tipo appunto la vincristina», aggiunge Pomella.
Le nuove ricerche potrebbero, invece, aprire la strada a un uso ottimale di questi farmaci, riducendone il dosaggio e quindi la tossicità.
L’ingegneria genetica può forzare le staminali del tumore a differenziarsi