Magico Van der Poel
Prima tappa show del Giro a Budapest L’olandese brucia in volata Girmay «Da mesi sognavo la maglia rosa»
VISEGRAD Sulla riva destra del Danubio (non blu), nel verde del bosco di Pilis, comincia la leggenda in rosa di Mathieu Van der Poel. E se i colori in questa storia già non bastassero, voilà la differenza con la maglia gialla, vestita dal nipote di Poulidor, figlio di Adrie, l’anno scorso al Tour: «In Francia, per la mia storia famigliare, mi ero emozionato come mai prima nella vita. Ma il Giro è altrettanto bello: diventare leader era un obiettivo che avevo in testa da mesi, partire da favorito non è mai facile ma ci si abitua».
Eccolo, il fuoriclasse che non tradisce, 195 km da Piazza degli Eroi a Visegrad con l’aspettativa di tutti i tifosi (tanti, lungo le strade ungheresi) pesante cento chili nel tascapane. E poi, negli ultimi furibondi metri di una volata diffusa e molto partecipata, il colpo di Vdp, la sigla che è un marchio di fabbrica. Per reggere la potenza dell’olandese (il terzo dopo Wim Van Est e Erik Breukink a indossare la casacca del leader al Giro e al Tour) lo sprinter puro Caleb Ewan rischia tutto cadendo malamente nella concitazione dell’arrivo e Biniam Girmay si spolmona con successo: secondo davanti a Bilbao, a un mese dal trionfo alla Gand piazza ancora la bandierina della la sua Eritrea sulla mappa del ciclismo mondiale. «Non avevo mai fatto uno sprint così — dirà —, ero al limite. Van der Poel è stato più forte ma ci riproverò sul lago Balaton».
Il Giro che scatta dall’Ungheria con all’orizzonte le dolcezze della Sicilia è già una corsa piena di facce, vicende, avventure di piccoli eroi. Lo sono Mattia Bais e Filippo Tagliani, in missione per conto di Gianni Savio, capitano di lungo corso delle due ruote e dell’Androni: a loro, 51 anni in due, Savio affida a inizio giornata la missione di andare in fuga, una fuga che dovrà essere più lunga possibile, a costo di lasciare tutto sulla strada tra Budapest e Visegrad. Mattia e Filippo eseguono, tengono il marchio in diretta tv per 180 km per la gioia del patron, dello sponsor e di tutti coloro che credono nelle missioni impossibili dello sport.
Ai piedi della salita finale, 5 km con punte all’8%, il gruppo torna compatto per rispettare il volere degli dei del ciclismo. Il primo vincitore del Giro numero 105 deve essere nobile ed è a quel punto, risalendo con la schiena curva posizioni verso la testa del plotone («Il posizionamento nelle volate è fondamentale, non volevo rimanere imbottigliato: sono rimasto tranquillo il più a lungo possibile, poi ho piazzato lo sprint» dirà il vincitore), che Vdp emerge dalla banalità della fatica di tutti con lo spunto raro del campione. «Nessuna celebrazione speciale — spiega attaccato alla borraccia —, lo sforzo è stato così esplosivo che non ho avuto nemmeno l’energia di alzare le braccia sul traguardo». La maglia rosa ha parole dolci per Girmay («È forte, è l’uomo del futuro»), per la traccia che ha appena lasciato («Il Tour mi ha insegnato a essere meno nervoso e più lucido»), per il futuro che lo aspetta. La crono di oggi, corta e insidiosa, su fino al castello di Buda. Maglia a rischio, batticuore in vista.