Armi, intelligence, addestramento Ma fin dove si spingerà l’aiuto a Zelensky?
Washington ribadisce che non manderà mai soldati sul campo Il cambio di passo però c’è stato e il resto è in discussione, con un avvertimento: non dare ai russi pretesti per allargare il conflitto
Armi, addestramento, intelligence e soldi. Gli Stati Uniti sono sempre più coinvolti nella guerra in Ucraina. Il cambio di passo voluto da Joe Biden ha prodotto un’oggettiva escalation. Sono saltati quasi tutti i vincoli che il presidente americano aveva mantenuto almeno fino al vertice straordinario della Nato, lo scorso 24 marzo.
Oggi, specie in Italia, c’è una forte polemica politica sulla distinzione tra «armi offensive» e «armi difensive». Ma val la pena ricordare che questo distinguo è stato teorizzato dal Pentagono: Biden lo ha usato costantemente nelle prime settimane del conflitto. Un solo esempio: il 12 marzo il presidente americano diceva a una riunione di democratici a Philadelphia: «non manderemo armi offensive, come carri armati o aerei; questo si chiama Terza guerra mondiale. Non scherziamo, ok?». Il concetto, dunque, era: gli Usa appoggiano la resistenza ucraina, ma non vogliono attaccare direttamente la Russia. Uno schema superato proprio con il vertice dell’Alleanza Atlantica a Bruxelles, quando un po’ tutti hanno preso atto di due fatti evidenti. Primo: l’esercito ucraino stava reggendo sul campo; secondo: Putin non aveva alcuna intenzione di aprire un negoziato serio.
Da quel momento gli Usa e alcuni alleati, come la Gran Bretagna, sono entrati in una logica di rialzo continuo. Il leader della Casa Bianca ha aumentato gli stanziamenti, fino a chiedere al Congresso 33 miliardi di dollari, (20 miliardi in armamenti) per sostenere lo sforzo degli ucraini. Biden ha mobilitato l’industria bellica e ha riproposto le norme e gli slogan adottati da Franklin Delano Roosevelt, all’inizio della Seconda guerra mondiale: «Gli Stati Uniti saranno ancora l’Arsenale della Democrazia». Il Pentagono sta inviando in Ucraina ordigni sempre più potenti e più moderni. Dai missili anti-carcapitolo ro Javelin si è passati ai dronikamikaze, agli obici con una media gittata e ora si sta pianificando la spedizione di missili anti-nave per liberare una rotta nel Mar Nero, presidiato dalla flotta russa. Non basta. Nelle basi Nato, gli specialisti statunitensi stanno addestrando i militari ucraini a usare gli ordigni di fabbricazione americana. Da pochi giorni «hanno completato il ciclo di formazione» più di 200 ufficiali di Volodymyr Zelensky.
E poi, naturalmente, c’è il dell’intelligence. Il portavoce del ministero della Difesa, John Kirby, insiste sul teorema seguente: «Noi forniamo informazioni riservate agli ucraini, così come fanno altri alleati. È un flusso legittimo e limitato. Ma gli Stati Uniti non sono coinvolti nella scelta dei bersagli. È l’esercito ucraino a decidere chi, come e quando colpire». Kirby si riferisce all’affondamento dell’incrociatore russo «Moskva», il 15 aprile scorso, e alla sequenza di almeno 12 generali, eliminati, secondo le rivelazioni del New York Times, grazie alle «soffiate» delle spie statunitensi.
Ma la questione, ormai, è più generale e viene dibattuta dentro l’amministrazione, nel Congresso, tra gli analisti dei centri studi, sui media più importanti. Fino a dove può spingersi l’appoggio a Zelensky? Resta immutata solo la premessa essenziale: gli Usa non manderanno soldati a combattere direttamente sul terreno. Tutto il resto è in discussione. Biden ha una doppia esigenza che, con il passare delle settimane, diventa sempre più contraddittoria. Da una parte, evitare di dare ai russi il pretesto di allargare il conflitto; dall’altra, «ragionare con il ritmo della guerra», come dice il segretario alla Difesa Lloyd Austin. Lo scenario sul campo è pericolosamente in bilico. Gli ucraini danno l’impressione di poter lanciare la controffensiva nel breve termine; nello stesso tempo si teme che il 9 maggio, «giorno della Vittoria», Putin possa prendere iniziative devastanti.
Biden, quindi, dovrà decidere come «riposizionare» gli Stati Uniti. La spinta interna è forte. Oltre il 70% dell’opinione pubblica appoggia l’invio di armi letali agli ucraini. Il Congresso è da sempre schierato in modo bipartisan sulla linea dura. Il 30 aprile scorso, la Speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, ha incontrato Zelensky a Kiev, promettendogli: «Saremo con voi fino alla vittoria». L’America si aspetta che il presidente adesso spieghi che cosa significhi in concreto.