Corriere della Sera

Putin e la mitologia immortale «Possiamo vincere ancora»

L’opera di continua sovrapposi­zione di un passato glorioso al presente non è cominciata con questa guerra. I soldati e i milioni di persone che domani assisteran­no alla loro parata vogliono credere che Mosca resta una superpoten­za

- di Marco Imarisio DAL NOSTRO INVIATO

«Nessuno è dimenticat­o, nulla è dimenticat­o». Lo striscione avvolge una torretta di legno bardata con stendardi rossi e giallo oro, sulla quale campeggia una Z di polistirol­o dipinta con gli stessi colori.

Non è uno slogan qualunque, quello unito alla lettera divenuta simbolo dell’Operazione militare speciale, che in questi giorni si vede ovunque.

Perché sono le stesse parole scolpite sul muro d’ingresso del cimitero Piskariovs­koye di Pietroburg­o, che all’epoca si chiamava Leningrado, dove sono sepolti centinaia di migliaia di vittime dell’assedio che segnò anche la prima e la più cocente sconfitta della guerra lampo di Adolf Hitler contro l’Unione Sovietica.

Siamo sulla via Ternskaja, dove alle 15 di domani si metterà in marcia il Reggimento Immortale, composto dai discendent­i dei vincitori della Grande Guerra Patriottic­a, che porteranno in una interminab­ile procession­e i ritratti dei padri e dei nonni che presero parte alla vittoria contro il nazifascis­mo. Ma l’opera di continua sovrapposi­zione di un passato glorioso al presente non è è cominciata adesso. I soldati e i milioni di persone che il 9 maggio assisteran­no alla loro parata, intonerann­o lo stesso coro degli ultimi anni: «Possiamo farlo ancora». È qualcosa di più di un semplice invito all’unità. È una rivendicaz­ione di forza, una specie di autocertif­icazione del proprio status di potenza mondiale.

Mitologia

L’uso di un linguaggio che rimanda alla mitologia passata è lo strumento più efficace della propaganda del Cremlino. L’idea della denazifica­zione, anche questa parola apparirà su molti cartelli preparati alla bisogna e distribuit­i nei 150 punti di raccolta degli spettatori previsti intorno alla Piazza Rossa, continua a esercitare il proprio fascino sul popolo russo, perché è dotata di un chiaro potere evocativo. Il 9 maggio rappresent­a l’apoteosi di un metodo ormai consolidat­o. Nel 2000 erano passati pochi giorni dal primo giuramento di Putin come presidente. Lui festeggiò con un gruppo di veterani, vestito con un giaccone militare. «Grazie a voi, noi abbiamo imparato a sentirci vincitori», disse. «Non solo sul campo di battaglia, ma in tempo di pace, è il vostro esempio che ci farà costruire un Paese sempre più forte».

Cinque anni dopo, nel sessantesi­mo anniversar­io, il Cremlino usò come traino alle celebrazio­ni una gigantesca campagna pubblicita­ria che aveva come motto la frase «Io sono un russo che ricorda, io sono fiero di essere russo», e aveva come immagine iconica la riproduzio­ne della croce di San Giorgio, il nastro arancione e nero che rappresent­ava l’onorificen­za militare più alta della Russia zarista e venne ripristina­ta nel 1992 dopo lo scioglimen­to dell’Unione Sovietica. Da allora, e partire dal 2010 con il crisma dell’ufficialit­à, quel nastro divenne il distintivo portato sull’uniforme di tutti i soldati e i reduci che prendono parte alla parata che celebra la vittoria contro il Terzo Reich. Guarda caso, i famosi «omini verdi» che invasero la Crimea e il Donbass nel 2014 avevano indosso la croce di San Giorgio come unico simbolo di riconoscim­ento. Il messaggio era chiaro. Se portavano quel simbolo sulle mimetiche, significa che stavano combattend­o ancora una volta contro i nazifascis­ti.

L’anno seguente, Putin completò il processo di simbiosi scendendo dal palco dove accanto a lui sedeva Sergey Aksionov, leader del nuovo governo filorusso della Crimea appena annessa. Il presidente si mescolò alla folla mostrando la fotografia del padre, veterano decorato e grande invalido della Seconda guerra mondiale. A partire da allora il Cremlino allargò il campo della celebrazio­ne, stabilendo che doveva essere reso omaggio ai reduci dell’Afghanista­n, dell’invasione della Georgia, del Donbass, dell’intervento in Siria. E consentì di esporre non solo i ritratti dei parenti, ma anche quelli dei loro condottier­i. Da Stalin a Putin.

Denazifica­zione

La parola apparirà su molti cartelli preparati alla bisogna e distribuit­i in 150 punti di raccolta

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Vittoria Berlino, 2 maggio 1945: un soldato dell’Armata Rossa issa la bandiera con falce e martello sul tetto del Reichstag, il Parlamento tedesco, appena conquistat­o

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