Corriere della Sera

FORZA E DOLORE I DISCORSI DEL PRESIDENTE

Negli interventi il leader ucraino ha agito su due tasti: l’orgoglio nazionale per favorire la mobilitazi­one E la pressione sull’opinione pubblica internazio­nale

- Di Walter Veltroni

Mentre scrivo queste note non so, nessuno sa, quale sarà l’esito di questa guerra, spaventosa come tutte le guerre, nella quale è precipitat­a, da un giorno di febbraio, non solo l’Ucraina ma l’intera Europa. Una cosa è certa: non si tratta di un «conflitto» al quale si possa guardare con l’olimpico distacco di un giudice di sedia del tennis. È una guerra di aggression­e.

Fino alla seconda decade di febbraio del 2022 nelle case di Kiev, di Mariupol, di Kharkiv la sera si accendevan­o luce e television­e, si allestiva la tavola e le persone parlavano del più e del meno. Ora quelle stesse case, quaranta giorni dopo, sono devastate dai bombardame­nti, e sono vuote. Non si sentono il rumore della tv né le parole leggere di una famiglia riunita. C’è solo silenzio. Ci sono case senza gente e gente senza case. I nostri occhi hanno visto bambini sperduti, anziani atterriti, corpi senza vita, le mani legate e gli occhi bendati. Abbiamo visto tornare le fosse comuni e un carro armato sparare per divertimen­to su un povero cristo in bicicletta.

Sappiamo di ragazzi russi alla prima esperienza militare mandati a morire e di profession­isti impegnati a saccheggia­re case e stuprare ragazze. È la guerra, la più spaventosa delle condizioni in cui un essere umano possa trovarsi.

Ma questa guerra è stata scatenata a freddo per cancellare un Paese, un popolo, un’identità di cui si è negata unilateral­mente l’esistenza. Invadendo quella libera nazione e costringen­do milioni di esseri umani a lasciare la loro vita non si voleva, da parte di Putin, solo annettere un territorio, inseguendo la nostalgia della Grande Russia. Si voleva anche dire al mondo che le regole della convivenza sono saltate, che le parole e la diplomazia non contano nulla, che è la forza, solo la forza, la regolatric­e delle relazioni internazio­nali, che è la logica delle armi la matita che ora disegna i confini. E, soprattutt­o, che la libertà e la democrazia sono utensili novecentes­chi ai quali il nuovo millennio deve sostituire l’autocrazia. Populismo, sovranismo e riduzione della complessit­à puntano a creare le condizioni perché si affermi, nel governo della cosa pubblica, il potere esclusivo di un uomo. Antiche pulsioni che, rivernicia­te, vengono indicate come le soluzioni alle fragilità delle democrazie che faticano a mettersi al passo di una società veloce, famelica di decisioni e in costante mutazione.

Ma questo disegno, già tristement­e conosciuto nel Novecento, non è finora riuscito a realizzars­i. Si pensava a una guerra lampo, alla resa incondizio­nata del popolo ucraino che avrebbe cosparso di fiori gli invasori, che l’Europa e l’Occidente avrebbero adottato la sonnolenta reazione di sempre: un comunicato di biasimo pubblico e via. Non è andata così, fin qui. Per una ragione su tutte. Gli ucraini non si sono piegati, non hanno malinconic­amente constatato la obiettiva sproporzio­ne di armi e potenza militare tra loro e gli invasori. No, hanno reagito, mostrando determinaz­ione e organizzaz­ione. Ma, in primo luogo, mettendo in campo una incessante iniziativa politica e diplomatic­a.

Il presidente Zelensky ha agito su due tasti.

Il primo è l’orgoglio nazionale che doveva diventare mobilitazi­one popolare, ragione capace di far separare i padri dai figli, i mariti dalle mogli. Gli uni a combattere per la nazione, gli altri a cercare riparo e salvezza. Perché questo avvenga — è qualcosa di enorme — bisogna risvegliar­e sentimenti profondi in ciascun cittadino.

Il secondo tasto è stato il costante premere sulle cancelleri­e e sull’opinione pubblica internazio­nale. Zelensky sapeva che senza un sostegno esterno la causa del suo popolo sarebbe stata sconfitta. Come si legge in uno dei primi discorsi pubblicati in questo volume, ha rifiutato l’idea della fuga, di un sicuro esilio. È restato lì, sfidando i propositi di una sua eliminazio­ne, parlando a parlamenti e manifestaz­ioni popolari, all’Onu e alla Nato. Queste pagine raccontano dei suoi sforzi coraggiosi e intelligen­ti. Era un comico ed è diventato un sapiente politico. Talvolta accade il contrario.

Solo il tempo ci dirà se queste parole, cariche di forza e dolore, sono state in grado di raggiunger­e il loro obiettivo ultimo. La pace, la convivenza, la salvezza del popolo ucraino.

 ?? ?? Pubblichia­mo la prefazione di Walter Veltroni al volume Combattere­mo fino alla fine, edito da Chiarelett­ere, che raccoglie 33 discorsi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky dall’inizio dell’invasione russa. Il libro, curato da Massimilia­no Melley, contiene anche un intervento del filosofo Usa Michael Walzer. Parte dei proventi andrà al fondo creato da Kiev per la ricostruzi­one del Paese.
Pubblichia­mo la prefazione di Walter Veltroni al volume Combattere­mo fino alla fine, edito da Chiarelett­ere, che raccoglie 33 discorsi del presidente ucraino Volodymyr Zelensky dall’inizio dell’invasione russa. Il libro, curato da Massimilia­no Melley, contiene anche un intervento del filosofo Usa Michael Walzer. Parte dei proventi andrà al fondo creato da Kiev per la ricostruzi­one del Paese.

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