SUL LAGO INCANTATO
Nel congedo ungherese, il Giro raggiunge il Balaton. Qui Tagore, mistico indiano, si curò e trovò l’estasi dell’unione tra cielo e acqua
Sotto il tiglio di Tagore. E sotto quelli piantati da Indira Gandhi e da Rajiv, suo figlio. O dai venerati padri dell’India moderna, Shankar Dayal Sharma e Zakir Hussain… Per gli sposini che oggi fanno il set sul lago Balaton, la foto con abbraccio agli «alberi degl’indiani» è da sempre un obbligo: si dice che porti bene e prosperità. E sposati o no, comunque, che serenità impigrirsi sotto questo sole, incantarsi sulle onde verde smeraldo, immergersi nel tiepido delle acque e poi stendersi lungo la passeggiata Tagore: a Balatonfured la chiamarono così perché, un secolo fa, il poeta premio Nobel ci veniva a curarsi il cuore e a passare le acque.
Era appena finita la Grande guerra, il suo francescanesimo indiano mal si conciliava con un certo nazionalismo ungherese, eppure Tagore fu accolto dai violini tzigani e trattato da re, alimentando il mito del più orientale popolo occidentale e d’una lingua che nell’Asia profonda si suppone abbia le origini. «Ho visto quasi tutti i Paesi del mondo – diceva il maestro del misticismo -, però da nessuna parte c’è un’armonia del cielo e dell’acqua come quella che ho avuto il privilegio d’ammirare sulla costa del Balaton, riempiendo d’estasi la mia anima».
Gli ungheresi faticavano a pronunciarne il nome, Rabindranath, ma Tagore lasciò l’anima nell’Ungheria transdanubiana, fino a piantare il suo tiglio. E via via, ispirare presidenti e premier indiani a venire a far lo stesso. Perché proprio qui? Se un albero mette radici da qualche parte, dice una credenza dei bramini, chi l’ha piantato vivrà abbastanza per vederne i germogli.
Il Giro quest’anno germoglia in Ungheria e rinasce da queste radici. Kaposvar s’adagia su sette colli e uno, fatale, si chiama Roma. Il Balaton è uno dei più grandi laghi d’Europa, una volta e mezza il Garda: il mare magiaro, come lo descrivono le guide turistiche, così caldo che d’estate puoi farci il bagno di mezzanotte meglio che ai Caraibi; l’acquitrino, come lo soprannominavano gli antichi ungheresi, profondo tre metri o poco più, così basso che per ore ci cammini come Gesù sulle acque. «La fine sabbia grigia del Balaton», la descriveva Italo Calvino: il suo collezionista di sabbie viaggiava
Il «mare» magiaro, un Garda e mezzo, è il preferito di oche e anatre migranti, e dei nudisti. Si nuota tra 2 mila tipi di alghe e 48 specie di pesci, tutti commestibili. A Zamardi e Siofok ci si diverte come a Rimini
per il mondo e ovunque ne raccoglieva a manciate, la metteva in flaconi di vetro sugli scaffali, ma la prima a essere citata era proprio l’arena grigiastra del Balaton…
Fa un po’ strano parlar di Tagore e del suo Dio più povero dei poveri, nell’Ungheria orbanizzata che oggi fa dei muri e delle contrapposizioni un marchio di fabbrica. Ma negli ultimi anni la Carovana Rosa ha saputo attraversare le intifade dei palestinesi e le memorie violente dei nordirlandesi, e dunque perché non sorvolare sulle profonde tensioni ungheresi. Egy fa nem erdö, si dice qui, un albero non fa una foresta.
E il naufragar è dolce nel mare magiaro, l’autogrill preferito d’oche e d’anatre che migrano sull’Europa, ma pure dei nudisti che si schiomano nei boschi e dei ragazzi che si scatenano a ballare h24 sulla spiaggia di Zamardi, o delle folle che riempiono Siofok neanche fosse Rimini. Ci sono abbazie millenarie e laghi sotterranei, mulini e lavande, il barocco e le porcellane Herend, le cristallerie e le bianche case di tufo col tetto di paglia. E nel Balaton si nuota fra i solfati, in duemila tipi d’alghe e quarantotto specie di pesce, tutte da cucinare: il luccio arrosto, il persico fritto, la zuppa di pesce alla paprika, la carpa lardellata con la panna acida, i ravioli di carpa e di pesce siluro, il lucioperca marinato… Non si mangia leggero da queste parti, peperoni al pomodoro e gnocco fritto, ma ci s’aiuta con le acquaviti all’albicocca, col riesling e perfino col Tokaj, chiudendo un occhio sugli ungheresi che scipparono la doc al nostrano Tocai friulano. «A dirla tutta – rifletteva Tagore -, nel mondo nessuno sa molto dell’Ungheria»: poeta solo al comando, lui riuscì a scalarne la cima e a scoprire, anche qui, la vera essenza della vita.