DA NIKOLAJEWKA ALLA RESISTENZA GIUSTO FESTEGGIARE GLI ALPINI
Caro Aldo,
Si fa polemica sulla scelta della data per la festa degli alpini. Durante la ritirata si sacrificarono per consentire ai resti dell’Armir di uscire dall’accerchiamento. Credo che, non dimenticando il grande errore della guerra mussoliniana, si possa riconoscere il loro sacrificio.
Mauro Galavotti
Qui si parla della battaglia in cui gli alpini ormai sconfitti cercarono di salvarsi la pelle ed evitare l’annientamento totale... Nikolajewka non è stata una battaglia di aggressione ma di sopravvivenza contro i russi che difendevano la loro terra e giustamente volevano cacciare gli occupanti.
Marco Viale
Caro Mauro, caro Marco,
Premesso che è giusto festeggiare tutte le forze armate in un solo giorno, il 4 novembre, condivido il vostro punto di vista. Da molti episodi si può dedurre che gli alpini non avevano alcuna voglia di combattere la seconda guerra mondiale agli ordini del Duce. Nell’ora dell’attacco alla Francia, ci fu un principio di ammutinamento del battaglione Exilles. Durante il trasferimento in Albania, ci furono scontri non solo verbali tra le camicie nere e gli alpini; anche se poi non fu certo la milizia, fu la Julia — motto: mai daur, mai indietro — a salvare la spedizione, sacrificandosi sul Pindo e al ponte di Perati per consentire ai commilitoni di ripiegare. Quando poi il Duce venne a comandare di persona l’offensiva in Albania, feudo personale di Ciano, gli alpini gli urlarono frasi in cui ricorreva il nome del genero, e non in senso amichevole.
È vero che l’Italia partecipò sciaguratamente alla guerra di aggressione condotta dalla Germania contro l’Unione sovietica. Ma Nikolajewka fu una battaglia combattuta — e vinta — per tornare a casa, per uscire dalla sacca. Fu l’Anabasi dei nostri nonni. Molti dei quali scelsero allora di combattere contro i tedeschi. Spesso si cita giustamente Nuto Revelli. Ma non è l’unico caso. I primi a salire in montagna dopo l’8 settembre sono gli alpini che formano la banda della Val Grana, sopra Cuneo, guidati dagli ufficiali di complemento. Altri alpini vanno in val Pesio, agli ordini di un ufficiale cattolico, il capitano Cosa. Anche a Brescia prevalgono i cattolici delle Fiamme Verdi, organizzate dall’arciprete di Cividate don Carlo Comensoli e dal capitano degli alpini Romolo Ragnoli. In Liguria si forma una banda di prigionieri russi: la guida un tenente degli alpini, Giuseppe Merlo. Nelle Marche comanda un altro ufficiale degli alpini, Spartaco Perini. È un ufficiale degli alpini pure Giulio Bolaffi, comandante in Val Susa della IV divisione di Giustizia e Libertà, che chiama Stellina, come sua figlia. Poi certo ci furono anche gli alpini della Monterosa, che fecero — o furono obbligati a — una scelta diversa.