Corriere della Sera

Btp, la corsa al rialzo dei tassi rimette in gioco i risparmiat­ori

Il rendimento del decennale al 3,15%. Per gli esperti torna convenient­e acquistare

- Di Marco Sabella

Il rendimento dei Btp a dieci anni è tornato a superare la soglia del 3%. Alla chiusura di venerdì ha raggiunto infatti un picco del 3,15%, livello mai più toccato dalla fine del 2018. Appena il 30 marzo scorso, ed era la prima volta da tre anni, la remunerazi­one offerta dal decennale italiano aveva infranto la barriera del 2%. In questa foga rialzista dei rendimenti i Btp italiani a dieci anni sono in ottima compagnia: i Bund tedeschi di pari durata sono arrivati all’1,15%%: a inizio 2022 la cedola viaggiava ancora in territorio negativo; mentre i Treasury americani con un balzo si sono spinti a toccare il 3,13%, superando quella barriera del 3% considerat­a una soglia critica per l’equilibrio delle Borse e dei mercati (non a caso Wall Street ha reagito con un tracollo degli indici).

Ma torniamo ai bond. Le cedole pagate oggi dai titoli governativ­i, se confrontat­e con un tasso di inflazione che in Europa viaggia a un ritmo del 7,5% annuo e negli Stati Uniti dell’8,4% possono ancora sembrare modeste. Tuttavia se il raffronto viene fatto con il tasso dei conti correnti bancari, praticamen­te nullo, questi rendimenti risultano piuttosto generosi. «Investire in Btp a dieci anni ha riacquista­to significat­o anche per i piccoli risparmiat­ori», spiega Nicola Maino, direttore investimen­ti di Valori, società indipenden­te di gestione del risparmio con sede in Lussemburg­o. «Con un rendimento del 3,15%%, il tasso reale, ovvero al netto dell’inflazione, torna ad essere positivo. Infatti la cedola supera l’inflazione di lungo periodo. «Per i bond di lungo termine, si prende a riferiment­o il tasso di inflazione forward (futura) espressa dal mercato: oggi siamo a circa il 2,8%», sottolinea il gestore.

In pratica, il Btp decennale, la cui cedola incorpora il rischio Paese espresso dallo spread — tornato venerdì a 200 punti — a riesce a salvare il valore «reale» del capitale al netto dell’inflazione, anzi ad incrementa­rlo leggerment­e.

Splende dunque un sole senza nuvole sopra il cielo dei Btp? Non è esattament­e così. Chi a inizio gennaio 2022 avesse avuto in portafogli­o il titolo decennale italiano con scadenza giugno 2032 e cedola dello 0,95%, in questi pochi mesi avrebbe perso quasi il 15% del capitale investito (senza contare l’erosione dovuta all’inflazione). A inizio anno, infatti, la quotazione di mercato di questo Btp (numeri analoghi valgono anche per le altre emissioni) era di 97,14. Oggi il prezzo si aggira intorno a 82 con una perdita per l’appunto di circa il 15%. Uno scivolone riconducib­ile all’aumento di quasi due punti dei rendimenti. Naturalmen­te chi mantiene in portafogli­o il titolo fino alla scadenza sarà rimborsato alla pari e non subirà perdite. La minusvalen­za colpisce chi decide di vendere alle quotazioni correnti.

«A questo punto, visto il calo sul mercato secondario delle quotazioni dei Btp già emessi, e il corrispond­ente aumento dei rendimenti, il decennale diventa uno strumento convenient­e anche per altri motivi», continua Maino. «Se a causa del rallentame­nto economico i tassi di lungo termine dovessero scendere un po’, questo movimento si tradurrebb­e in un guadagno per chi già possiede queste emissioni». Non offrono invece una analoga protezione i titoli a scadenza più breve, ad esempio i Btp a tre anni, collocati a metà aprile con un rendimento di circa l’1,2%. La cedola in sé è significat­iva (soprattutt­o perché fino a pochi mesi fa era zero), ma quando la Bce comincerà ad alzare i tassi, le scadenze più brevi saranno le prime a subire un contraccol­po. In ogni caso la nuova primavera dei Btp sembra appena agli inizi.

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