«Un fondo di fondi per rafforzare il capitale delle Pmi»
Cipolletta: serve uno strumento pubblico
Creare un fondo di fondi di private equity e venture capital per ricapitalizzare il sistema delle piccole e medie imprese. E’ questa l’idea di Innocenzo Cipolletta, economista e manager, una lunga carriera che lo visto tra i molti incarichi direttore di Confindustria.
Da circa un anno Cipolletta è presidente di Febaf, la Federazione di banche, assicurazioni, finanza. Da questo punto di osservazione, l’economista coglie le principali urgenze dell’Azienda Italia. «Tra le necessità delle piccole e medie imprese, c’è il raggiungimento di un livello di capitalizzazione adeguato in un contesto economico in evoluzione molto rapida», afferma. Due anni di pandemia hanno spinto gli investimenti nella digitalizzazione e a questo si aggiungono le trasformazioni per la transizione «green» e le sfide poste dai colli di bottiglia delle catene di approvvigionamento. «Governare queste trasformazioni richiede capitali ingenti, che non possono più provenire solo dal credito bancario di breve termine. I finanziamenti devono essere di lungo termine, strutturali, legati a specifici progetti di investimento».
Cipolletta ricorda che dalla grande crisi del 2008 si sono affermati nuovi soggetti finanziatori:il segmento Growth (ex Aim) di Borsa italiana per le piccole imprese innovative, i private equity, i mini-bond. E ancora, veicoli come le Spac (Special purpose acquisition Companies).
Ma tutto questo non basta. «E’ necessario indirizzare all’investimento produttivo anche i fondi raccolti dal settore delle assicurazioni. Le quali si stanno già muovendo in questo senso e creato, con Ania, un Fondo infrastrutturale con una disponibilità di 500 milioni». Volano della ricapitalizzazione potrebbe essere dunque la creazione di uno o più Fondi di fondi, sull’esempio del Fondo per l’innovazione che fa capo a Cdp. Uno strumento di questo tipo, messo a disposizione dallo Stato, avrebbe «l’effetto di moltiplicare la leva del risparmio, di far crescere il numero degli operatori allineandoci ai livelli di altri Paesi europei, e di creare un mercato secondario delle quote investite», spiega.
Per un tale strumento si potrebbe ipotizzare una dotazione di 4-5 miliardi. «Con l’effetto leva il capitale viene moltiplicato e nelle imprese potrebbero trovare impiego a rischi prossimi allo zero anche 15-20 miliardi di risorse fresche. Il fondo potrebbe investire nell’equity delle imprese italiane richiamando l’interesse degli investitori, sia istituzionali che privati, anche perché questi finanziamenti sarebbero in ultima analisi riconducibili a un veicolo pubblico, per sua natura non speculativo» conclude.
Governare le trasformazi oni richiede capitali ingenti, che non possono più provenire solo dal credito bancario di breve termine