«L’economia della conoscenza rilancia il ruolo delle metropoli»
Gori al Festival Città impresa: chi vive nei centri urbani è più allenato al cambiamento
VICENZA Dalle città svuotate nel post pandemia al nuovo ruolo delle periferie, passando per le sfide del lavoro, che deve essere in primo luogo dignitoso. Si è chiusa ieri la seconda giornata del Festival Città Impresa di Vicenza. Tra i temi affrontati la frattura tra le metropoli e le periferie e le strategie per ri-connettere i territori.
Posto che, come ha ricordato Elena Granata, docente di Urbanistica del Politecnico di Milano, nel dialogo con il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, moderato da Dario Di Vico, il centro delle aree urbane è entrato in crisi e appare svuotato anche in relazione al fenomeno dirompente dello smart working, oggi occorre favorire lo sviluppo di nuovi equilibri sociali. Secondo Gori, la crisi dei centri non è un fenomeno irreversibile anzi: «Se è sorta una distanza nuova tra centro e periferia, siamo anche usciti dalla pandemia con nuovi strumenti per affrontarla. Penso allo smart working. Non credo assisteremo a un collasso delle metropoli perché nelle metropoli si concentra l’economia della conoscenza che tende ad aggregare: crea capitale umano, finanziario, servizi. Questo rende la città difficilmente sostituibile». Per Elena Granata l’errore di fondo è aver dato per scontata l’importanza del centro. «Abbiamo dato per assodato il fatto che il valore economico e culturale dei centri si liquefacesse man mano che ci si allontanava dagli stessi. Oggi qualcosa in questo equilibrio si è rotto. Il 2,9% dei milanesi, ad esempio, nel 2020 ha lasciato la città. Tante aziende cercano una sede fuori e vale anche per chi cerca lavoro. Molte università pubbliche hanno, non a caso, perso studenti». L’invito è quindi a cucire un legame diverso tra il tessuto urbano ed extraurbano ora che per la prima volta la città ha capito «che ha bisogno della campagna». Per Gori però la città resterà un perno dello sviluppo culturale. «Chi vive nelle città — dice — è più allenato al cambiamento e alla diversità rispetto a chi vive in realtà chiuse. E questo rappresenta un vantaggio in un contesto globale sempre più complesso».
Di occupazione giusta, salari e contrattazione hanno invece discusso il ministro del Lavoro Andrea Orlando e Marco Bentivogli, già segretario Fim Cisl. Secondo Bentivogli l’obiettivo dei prossimi mesi, di politica e rappresentanza, dovrebbe essere garantire lavoro, sì ma dignitoso. «Dove con dignitoso — spiega — si intende un lavoro, come ha detto Papa Francesco, che faccia fiorire la persona. Un elemento di emancipazione e realizzazione. Il tutto tenendo presente che il senso del lavoro cambia con le generazioni». Come testimonia il fenomeno delle Grandi dimissioni «che riguarda giovani con profili medio alti in termini di competenze».
Bentivogli ha poi ricordato i grandi problemi del mercato del lavoro italiano: bassa occupazione giovanile, i Neet (coloro che non studiano e non lavorano,ndr), scarsa partecipazione femminile, persone competenti che emigrano, poche competenze digitali. In questo scenario per Bentivogli l’errore è non formare. «In Italia non esiste un progetto di reskilling efficace. Molte aziende non credono che valga la pena investire sui giovani e sulla formazione in generale. Questo dipende anche dalla bassa qualità della formazione che si fa in Italia». Formazione che però sarà strategica anche nell’ottica della transizione green, che porta con sé la necessità di riconvertire intere filiere. Dice Bentivogli: «La transizione significa evoluzione, l’accompagnamento del processo. Ad oggi manca un coordinamento tra i ministeri su questo punto. Il rischio è che sui lavoratori si abbatterà la mancanza di politiche adeguate». L’errore, in breve, secondo il sindacalista, è fissare traguardi «verdi» senza programmare come arrivarci.