Turismo, l’ipotesi del tetto sulle commissioni L’ira di Airbnb e Booking
L’emendamento che taglia all’8% i guadagni delle piattaforme
ROMA Gli albergatori sostengono che per prenotare una stanza su Internet ci sia sempre un «portiere», una figura terza tra la struttura e il cliente. Che impone a entrambi il prezzo che vuole lui senza che le due parti possano svincolarsi. Il portiere è la metafora per descrivere le grandi piattaforme come Booking.com, Airbnb ed Expedia in grado di comparire stabilmente nella prima pagina di Google.
A supporto di questa attività di intermediazione c’è la loro capacità di indicizzazione sui motori di ricerca al prezzo di forti investimenti di digital marketing. Col tempo i portali però avrebbero nei fatti costituito un monopolio tale da configurare un limite alla concorrenza: comparire tra le prime segnalazioni in rete è diventata impresa impossibile per una piccola realtà ricettiva priva dei capitali necessari. Succede infatti da anni che la gran parte della ricerca di camere avvenga su Internet scavalcando non solo le agenzie turistiche tradizionali, ma anche gli stessi alberghi. D’altronde la varietà degli hotel segnalati è infinita, come la scelta per il cliente finale che sente di poter toccare con mano la libertà di trovare quello che vuole scegliendo il miglior rapporto qualità/prezzo.
Il balzello di questa attività oscilla però tra il 10 e il 20%, secondo alcune stime. Un margine che gli albergatori hanno sempre ritenuto eccessivo. Soprattutto denunciano il fatto che nessuno di loro abbia il potere negoziale per spuntare un trattamento migliore a meno di sparire dal principale distributore del turismo dell’umanità: cioè la rete Internet. Ora all’esame del decreto legge «Taglia Prezzi» il senatore di Forza Italia Massimo Mallegni, albergatore di Pietrasanta, ha presentato un emendamento che dispone che i portali debbano applicare a ogni prenotazione una percentuale massima dell’8 % sul prezzo inserito.
La misura però è un unicum a livello europeo e — secondo le grandi piattaforme — potrebbe limitare la libertà di iniziativa economica e di impresa oltre che la libera concorrenza: l’intervento potrebbe risultare discriminatorio in quanto comporterebbe uno squilibrio tra piattaforme online e operatori offline. L’eventuale introduzione poi rischia di impattare soprattutto il turismo dall’estero, che più spesso si avvale dei canali online, rischiando di frenare il rilancio del settore in questa fase di ripresa dopo la pandemia. E potrebbe finire nel mirino dalle autorità Antitrust e dalla Corte di Giustizia Ue a cui le piattaforme, fanno filtrare, si dicono già pronte a rivolgersi.
Certo c’è un tema fiscale da non sottovalutare. Nel 2019, calcolano le stime degli operatori, le cosiddette online travel agencies, le piattaforme come Airbnb e Booking, hanno intermediato in Italia prenotazioni per circa 5 miliardi di euro, riscuotendo commissioni per oltre un miliardo di euro sulle quali non verrebbero pagate — è la tesi degli albergatori — tutte le tasse che dovrebbero. La procura di Genova ha fatto, non a caso, di recente richiesta di rogatoria all’Olanda, dove c’è la sede europea di Booking, perché ipotizza un’evasione Iva per oltre 150 milioni di euro: sotto la lente degli investigatori un sistema di società il cui giro d’affari è pressoché sconosciuto.
Il potere negoziale
Gli albergatori denunciano lo scarso potere nei contratti stipulati con i portali