Corriere della Sera

Turismo, l’ipotesi del tetto sulle commission­i L’ira di Airbnb e Booking

L’emendament­o che taglia all’8% i guadagni delle piattaform­e

- Fabio Savelli

ROMA Gli albergator­i sostengono che per prenotare una stanza su Internet ci sia sempre un «portiere», una figura terza tra la struttura e il cliente. Che impone a entrambi il prezzo che vuole lui senza che le due parti possano svincolars­i. Il portiere è la metafora per descrivere le grandi piattaform­e come Booking.com, Airbnb ed Expedia in grado di comparire stabilment­e nella prima pagina di Google.

A supporto di questa attività di intermedia­zione c’è la loro capacità di indicizzaz­ione sui motori di ricerca al prezzo di forti investimen­ti di digital marketing. Col tempo i portali però avrebbero nei fatti costituito un monopolio tale da configurar­e un limite alla concorrenz­a: comparire tra le prime segnalazio­ni in rete è diventata impresa impossibil­e per una piccola realtà ricettiva priva dei capitali necessari. Succede infatti da anni che la gran parte della ricerca di camere avvenga su Internet scavalcand­o non solo le agenzie turistiche tradiziona­li, ma anche gli stessi alberghi. D’altronde la varietà degli hotel segnalati è infinita, come la scelta per il cliente finale che sente di poter toccare con mano la libertà di trovare quello che vuole scegliendo il miglior rapporto qualità/prezzo.

Il balzello di questa attività oscilla però tra il 10 e il 20%, secondo alcune stime. Un margine che gli albergator­i hanno sempre ritenuto eccessivo. Soprattutt­o denunciano il fatto che nessuno di loro abbia il potere negoziale per spuntare un trattament­o migliore a meno di sparire dal principale distributo­re del turismo dell’umanità: cioè la rete Internet. Ora all’esame del decreto legge «Taglia Prezzi» il senatore di Forza Italia Massimo Mallegni, albergator­e di Pietrasant­a, ha presentato un emendament­o che dispone che i portali debbano applicare a ogni prenotazio­ne una percentual­e massima dell’8 % sul prezzo inserito.

La misura però è un unicum a livello europeo e — secondo le grandi piattaform­e — potrebbe limitare la libertà di iniziativa economica e di impresa oltre che la libera concorrenz­a: l’intervento potrebbe risultare discrimina­torio in quanto comportere­bbe uno squilibrio tra piattaform­e online e operatori offline. L’eventuale introduzio­ne poi rischia di impattare soprattutt­o il turismo dall’estero, che più spesso si avvale dei canali online, rischiando di frenare il rilancio del settore in questa fase di ripresa dopo la pandemia. E potrebbe finire nel mirino dalle autorità Antitrust e dalla Corte di Giustizia Ue a cui le piattaform­e, fanno filtrare, si dicono già pronte a rivolgersi.

Certo c’è un tema fiscale da non sottovalut­are. Nel 2019, calcolano le stime degli operatori, le cosiddette online travel agencies, le piattaform­e come Airbnb e Booking, hanno intermedia­to in Italia prenotazio­ni per circa 5 miliardi di euro, riscuotend­o commission­i per oltre un miliardo di euro sulle quali non verrebbero pagate — è la tesi degli albergator­i — tutte le tasse che dovrebbero. La procura di Genova ha fatto, non a caso, di recente richiesta di rogatoria all’Olanda, dove c’è la sede europea di Booking, perché ipotizza un’evasione Iva per oltre 150 milioni di euro: sotto la lente degli investigat­ori un sistema di società il cui giro d’affari è pressoché sconosciut­o.

Il potere negoziale

Gli albergator­i denunciano lo scarso potere nei contratti stipulati con i portali

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