LE RIFORME NECESSARIE
La Conferenza sul futuro Più competenze servirebbero a poco se la Ue restasse paralizzata dalle procedure decisionali. Occorre il voto a maggioranza qualificata, un salto verso il federalismo
La Ue deve promuovere il dialogo e garantire la pace, potenziando nel contempo la sicurezza comune attraverso forze armate congiunte. Questa è una delle indicazioni emerse dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, che si conclude oggi con una cerimonia a Strasburgo. Un anno di dibattiti che hanno coinvolto più di seicentomila cittadini europei.
Una quota molto piccola della popolazione europea (poco più dell’uno percento); ma un buon risultato per il primo esperimento democratico di «Europa dal basso». Dai lavori della Conferenza sono state estratte 49 proposte, ciascuna articolata in sotto-raccomandazioni. Molte sono auspici generici («sviluppare una visione chiara dell’economia europea») oppure richieste molto puntuali («affrontare il problema dell’uso della plastica nelle pellicole agricole»). La maggior parte riguarda obiettivi che sono già nell’agenda dell’Unione, altre prendono posizione in merito a opzioni attualmente dibattute dai governi. Ad esempio emerge un sostegno netto a favore del mantenimento del Next Generation Eu, del debito comune e del programma SURE a sostegno della disoccupazione, aumentando le risorse proprie dell’Unione. Da almeno un decennio i sondaggi segnalano che i cittadini (compresi i tedeschi) chiedono più Europa sociale e sono molto più favorevoli alla solidarietà fra Paesi di quanto non lo siano i governi. Le politiche economiche della Ue impattano concretamente sulle condizioni di vita dei cittadini. È normale che all’Unione si chieda oggi anche un maggiore sforzo nel campo della protezione, una delle funzioni chiave dello Stato moderno. La guerra in Ucraina ha esteso la domanda di sicurezza anche alla difesa. Fra le proposte vi è quella di rafforzare le capacità operative per rendere credibile la clausola — già vigente — che prevede l’assistenza reciproca in caso di attacchi da Paesi terzi. Nel settore delle migrazioni vi è un chiaro segnale a favore della riforma del (tristemente noto) regolamento di Dublino e, di nuovo, di una maggiore solidarietà fra Paesi.
Le proposte più ambiziose implicano una riforma dei Trattati. I cittadini chiedono più capacità decisionale, più democrazia e più competenze. La pandemia ha creato un bisogno di Europa in ambito sanitario. È stata varata una Unione della salute, ma per renderla davvero efficace occorre estendere i poteri della Ue in questo ambito. Una maggiore autonomia strategica presuppone la possibilità di decidere su una gamma più ampia di questioni in campo energetico. L’Unione economica e monetaria deve essere controbilanciata da maggiori competenze di politica sociale e del lavoro. All’incremento dei poteri «dall’alto» deve poi corrispondere un rafforzamento di quelli «dal basso»: perciò si chiede una riforma della cittadinanza europea, il diritto d’iniziativa del Parlamento, la possibilità di indire referendum pan-europei e si ipotizza persino l’elezione diretta del presidente della Commissione. Non solo protezione, dunque, ma anche partecipazione.
Più competenze servirebbero a poco se la Ue restasse paralizzata dalle procedure decisionali. Come sappiamo, negli ambiti più rilevanti è ancora richiesta l’unanimità: l’embargo al petrolio russo è stato recentemente bloccato dal veto ungherese. Di qui una proposta dirompente: sostituire l’unanimità con il voto a maggioranza qualificata in pressoché tutti i settori. Sarebbe un salto verso il federalismo, il passo forse decisivo per la fusione delle sovranità nazionali. È probabile che i cittadini abbiano compreso un aspetto che i loro leader faticano invece a mettere a fuoco. Nel nuovo contesto internazionale, condividere la sovranità significa avere più potere, non meno. Per quanto piccolo o periferico, ogni Paese membro potrebbe influire sulle decisioni di una Unione finalmente capace di farsi valere nel mondo, grazie alla propria coesione interna e a una robusta base di risorse comuni.
Dal documento conclusivo della Conferenza trapela anche una certa dose di disaccordo, soprattutto in merito alla revisione dei Trattati. Le resistenze sono più marcate nei Paesi nordici e dell’Est, ma diventano trasversali se consideriamo le forze euroscettiche. Per le quali sarà difficile, però, utilizzare la tradizionale obiezione: la Ue è un progetto di élite tecnocratiche contro i popoli. Questa volta infatti la domanda di più Europa viene proprio da rappresentanti (in senso statistico) di questi popoli.
Nel suo discorso a Strasburgo Mario Draghi ha già espresso la disponibilità dell’Italia a una modifica dei Trattati. In una recente Risoluzione, il Parlamento europeo ha chiesto l’avvio di una Convenzione. Le chiavi del cambiamento stanno però nelle mani del Consiglio. La convocazione di una Convenzione o Conferenza intergovernativa può essere votata a maggioranza. Per approvare una riforma del Trattato, serve tuttavia l’unanimità. I difensori dello status quo sono avvantaggiati rispetto agli innovatori. Intanto, auguriamoci che Commissione e Consiglio s’impegnino formalmente a realizzare le proposte fattibili a Trattato vigente. Sarebbe comunque un bene, in attesa del meglio.