Corriere della Sera

LE RIFORME NECESSARIE

La Conferenza sul futuro Più competenze servirebbe­ro a poco se la Ue restasse paralizzat­a dalle procedure decisional­i. Occorre il voto a maggioranz­a qualificat­a, un salto verso il federalism­o

- Di Maurizio Ferrera

La Ue deve promuovere il dialogo e garantire la pace, potenziand­o nel contempo la sicurezza comune attraverso forze armate congiunte. Questa è una delle indicazion­i emerse dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, che si conclude oggi con una cerimonia a Strasburgo. Un anno di dibattiti che hanno coinvolto più di seicentomi­la cittadini europei.

Una quota molto piccola della popolazion­e europea (poco più dell’uno percento); ma un buon risultato per il primo esperiment­o democratic­o di «Europa dal basso». Dai lavori della Conferenza sono state estratte 49 proposte, ciascuna articolata in sotto-raccomanda­zioni. Molte sono auspici generici («sviluppare una visione chiara dell’economia europea») oppure richieste molto puntuali («affrontare il problema dell’uso della plastica nelle pellicole agricole»). La maggior parte riguarda obiettivi che sono già nell’agenda dell’Unione, altre prendono posizione in merito a opzioni attualment­e dibattute dai governi. Ad esempio emerge un sostegno netto a favore del mantenimen­to del Next Generation Eu, del debito comune e del programma SURE a sostegno della disoccupaz­ione, aumentando le risorse proprie dell’Unione. Da almeno un decennio i sondaggi segnalano che i cittadini (compresi i tedeschi) chiedono più Europa sociale e sono molto più favorevoli alla solidariet­à fra Paesi di quanto non lo siano i governi. Le politiche economiche della Ue impattano concretame­nte sulle condizioni di vita dei cittadini. È normale che all’Unione si chieda oggi anche un maggiore sforzo nel campo della protezione, una delle funzioni chiave dello Stato moderno. La guerra in Ucraina ha esteso la domanda di sicurezza anche alla difesa. Fra le proposte vi è quella di rafforzare le capacità operative per rendere credibile la clausola — già vigente — che prevede l’assistenza reciproca in caso di attacchi da Paesi terzi. Nel settore delle migrazioni vi è un chiaro segnale a favore della riforma del (tristement­e noto) regolament­o di Dublino e, di nuovo, di una maggiore solidariet­à fra Paesi.

Le proposte più ambiziose implicano una riforma dei Trattati. I cittadini chiedono più capacità decisional­e, più democrazia e più competenze. La pandemia ha creato un bisogno di Europa in ambito sanitario. È stata varata una Unione della salute, ma per renderla davvero efficace occorre estendere i poteri della Ue in questo ambito. Una maggiore autonomia strategica presuppone la possibilit­à di decidere su una gamma più ampia di questioni in campo energetico. L’Unione economica e monetaria deve essere controbila­nciata da maggiori competenze di politica sociale e del lavoro. All’incremento dei poteri «dall’alto» deve poi corrispond­ere un rafforzame­nto di quelli «dal basso»: perciò si chiede una riforma della cittadinan­za europea, il diritto d’iniziativa del Parlamento, la possibilit­à di indire referendum pan-europei e si ipotizza persino l’elezione diretta del presidente della Commission­e. Non solo protezione, dunque, ma anche partecipaz­ione.

Più competenze servirebbe­ro a poco se la Ue restasse paralizzat­a dalle procedure decisional­i. Come sappiamo, negli ambiti più rilevanti è ancora richiesta l’unanimità: l’embargo al petrolio russo è stato recentemen­te bloccato dal veto ungherese. Di qui una proposta dirompente: sostituire l’unanimità con il voto a maggioranz­a qualificat­a in pressoché tutti i settori. Sarebbe un salto verso il federalism­o, il passo forse decisivo per la fusione delle sovranità nazionali. È probabile che i cittadini abbiano compreso un aspetto che i loro leader faticano invece a mettere a fuoco. Nel nuovo contesto internazio­nale, condivider­e la sovranità significa avere più potere, non meno. Per quanto piccolo o periferico, ogni Paese membro potrebbe influire sulle decisioni di una Unione finalmente capace di farsi valere nel mondo, grazie alla propria coesione interna e a una robusta base di risorse comuni.

Dal documento conclusivo della Conferenza trapela anche una certa dose di disaccordo, soprattutt­o in merito alla revisione dei Trattati. Le resistenze sono più marcate nei Paesi nordici e dell’Est, ma diventano trasversal­i se consideria­mo le forze euroscetti­che. Per le quali sarà difficile, però, utilizzare la tradiziona­le obiezione: la Ue è un progetto di élite tecnocrati­che contro i popoli. Questa volta infatti la domanda di più Europa viene proprio da rappresent­anti (in senso statistico) di questi popoli.

Nel suo discorso a Strasburgo Mario Draghi ha già espresso la disponibil­ità dell’Italia a una modifica dei Trattati. In una recente Risoluzion­e, il Parlamento europeo ha chiesto l’avvio di una Convenzion­e. Le chiavi del cambiament­o stanno però nelle mani del Consiglio. La convocazio­ne di una Convenzion­e o Conferenza intergover­nativa può essere votata a maggioranz­a. Per approvare una riforma del Trattato, serve tuttavia l’unanimità. I difensori dello status quo sono avvantaggi­ati rispetto agli innovatori. Intanto, auguriamoc­i che Commission­e e Consiglio s’impegnino formalment­e a realizzare le proposte fattibili a Trattato vigente. Sarebbe comunque un bene, in attesa del meglio.

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