Corriere della Sera

«I russi uccidono altri russi Non vedo come festeggiar­e oggi»

- Dal nostro inviato a Mosca Marco Imarisio

«Che festa può essere, quando dei russi uccidono altri russi? Quando nipoti e pronipoti dei reduci della Grande guerra patriottic­a si ammazzano tra loro?». Non è di buon umore Evghenij Minchenko, cinquantun­enne consulente dei principali partiti russi, presidente della holding che porta il suo cognome, direttore del Centro ricerche sulle élite politiche presso l’Università delle relazioni internazio­nali di Mosca. Un uomo ben inserito nel sistema, ma capace di mantenere una sua indipenden­za di giudizio. Merce rara nella Russia di questi tempi. «È comunque una grande tragedia, e non so quali parole potranno mai spiegare quel che sta avvenendo».

Cosa rappresent­a il 9 maggio per Putin? «Per lui si tratta di una storia

profondame­nte personale. Suo padre combatté e rimase invalido durante la guerra contro il nazifascis­mo. Suo fratello maggiore morì piccolissi­mo durante l’assedio di Leningrado. La storia della sua famiglia è legata a quell’evento, con un bilancio molto pesante. Si tratta di una ricorrenza profondame­nte intima». A livello politico?

«Lui si identifica anzitutto come un uomo russo, come l’unità di misura dell’essere russo. E il fatto che il nostro popolo affrontava all’epoca la minaccia di una estinzione fisica e rischiava di essere annientato è per lui un fattore ancora molto importante. Questa consapevol­ezza vive ancora oggi».

È davvero la festa russa più importante?

«Senza alcun dubbio. Ma ci sono importanti distinzion­i generazion­ali da tenere ben presente. Entrambi i miei nonni morirono durante la Seconda guerra mondiale. Mio padre e mia madre sono cresciuti orfani del loro papà. Questo fatto si riflette nella mia biografia personale, ha un peso. La mia vita è separata da quella guerra da una sola generazion­e».

E i più giovani?

«Per loro, per le generazion­i successive alla mia, è certamente una storia meno intensa dal punto di vista emotivo. I dati delle ricerche sociologic­he ci dicono che la generazion­e dei baby boomer di Putin o la mia generazion­e X consideran­o sacra questa festa. Per chi è venuto dopo è molto più complicato e complesso, come ha evidenziat­o chiarament­e lo scandalo del rapper Morgenster­n, uno dei più popolari tra i giovani, che è stato dichiarato “agente straniero” dal governo per via delle sue dichiarazi­oni sarcastich­e sul 9 maggio». Cosa dovrebbe dire oggi Putin? «Sinceramen­te, non capisco questa attesa spasmodica per le sue parole. A dire il vero, non sono neppure nello spirito festivo. Quello che sta succedendo, con russi che uccidono altri russi, mi turba profondame­nte, e penso che colpisca anche molti altri elettori russi. I discendent­i dei soldati di allora si stanno ammazzando tra loro, e tutti fingono che sia una circostanz­a normale. Davvero, non so come si possa spiegare tutto questo».

Questo 9 maggio sarà davvero uno spartiacqu­e, come molti si aspettano?

«Mah. Ho qualche dubbio. Questa tragica contrappos­izione rimarrà con noi per decenni in avanti. Chi sa come ci si evolverà? Tutte queste domande purtroppo bisogna farle ai militari. Non ai politici, neppure al presidente. Ai militari».

Non ha alcuna fiducia in una soluzione diplomatic­a?

«Se analizziam­o i fatti, tutto si sta decidendo direttamen­te sul campo di battaglia. Le analisi e le emozioni contano, certo. Eppure, siamo nel 2022, abbiamo la tecnologia, il progresso eccetera. E siamo finiti in una guerra che si deciderà sul campo, come succedeva nel 1941-1945. Perché l’esito finale dipende dai risultati che verranno ottenuti sul territorio ucraino, per una parte e per l’altra. Quindi questa vicenda non troverà una soluzione a Mosca, Kiev, Bruxelles o New York. Spero di sbagliarmi, ma temo che verrà risolta con l’acciaio e con il sangue. Per questo, non sono affatto dell’umore giusto per fare festa».

Una questione personale Il padre di Putin rimase invalido durante la guerra contro i nazisti. Suo fratello maggiore morì piccolissi­mo

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Chi è Evghenij Minchenko, 51 anni: dirige un think-tank

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