Corriere della Sera

Pupazzo testimone di crimini di guerra

- Di Giusi Fasano

Ci sono immagini e prove biologiche. Ci sono occhi che hanno visto e orecchie che hanno sentito. E poi c’è lui, un pupazzetto insanguina­to. Non ha un nome e nessuno sa dire a chi appartenga. Ma a lui non serve avere nessuna identità per essere ammesso fra i testimoni dei crimini di guerra. Il vicecapo di polizia ucraino Oleksiy Biloshitsk­yi l’ha trovato per terra fra valigie, zaini e sangue alla stazione di Kramatorsk, finito sotto un attacco missilisti­co russo l’8 di aprile. Si è infilato i guanti, l’ha raccolto e l’ha messo in un sacchetto trasparent­e: reperto numero tal dei tali… Poi ha parlato di quel pelouche al suo capo, che ne ha parlato con la Procura, che ne ha parlato con la Commission­e internazio­nale d’inchiesta indipenden­te sull’Ucraina. Risultato: il ministro degli Interni ucraino Denys Monastryrs­kyi in persona lo ha consegnato al coordinato­re per la crisi ucraina delle Nazioni Unite, Amin Awad. E adesso quel pupazzetto «ferito» è «testimone» pure lui della strage di profughi alla stazione di Kramatorsk, un crimine di guerra che è costato la vita a più di 50 persone, fra i quali almeno quattro bambini. Forse il suo umano di riferiment­o era fra quei bambini, forse era uno dei piccoli feriti. Il sacchetto con il pupazzo dal naso e dalle zampe insanguina­te è arrivato alle Nazioni Unite, è diventato simbolo dell’umanità perduta di questa e di tutte le guerre, prima ancora che reperto per un ipotetico futuro processo contro Putin e la Russia. La fotografia di quel giocattolo sporco di polvere e sangue e abbandonat­o sulle piastrelle di cemento della stazione nel frattempo ha fatto il giro del mondo. Chissà. Magari il bambino che credeva di portarlo con sé verso la salvezza adesso sta bene. Magari un giorno chiederà al vicecapo della polizia Biloshitsk­yi di recuperalo perché è suo, quel benedetto reperto. Ce ne saranno tanti altri di «testimoni» come lui in ogni angolo d’Ucraina che sia stato sotto attacco in questi 75 giorni di guerra. Oggetti e simboli che parlano senza dire una parola. Anche perché, fa sapere la procuratri­ce generale Iryna Venediktov­a, sono aperti 9.158 procedimen­ti penali per presunti crimini di guerra, «e ogni giorno riceviamo nuove segnalazio­ni». Parla agli autori di quei crimini, la procuratri­ce: «Sappiatelo. L’impunità non è un’opzione».

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