Gualazzi: con il jazz sfiorai la vittoria
TORINO Nel 2011 a Düsseldorf l’Italia tornava in gara all’Eurovision dopo 14 anni di assenza. A rappresentarci c’era Raphael Gualazzi, che quello stesso anno aveva vinto il Festival di Sanremo Giovani con «Follia d’amore». La manifestazione era un oggetto non identificato, sia per il pubblico che per il mondo della musica.«Ricordo che la nostra delegazione era fatta da 10 persone, di cui 3 soltanto della Rai. Quelli dell’Azerbaijan erano in 150. L’Eurovision non era percepito, era dimenticato come la spada nella roccia».
Lei come Artù?
«Non mi arrogo questa responsabilità (ride)».
Cosa ricorda?
«Le luci sono la prima cosa che mi viene in mente. Ebbi subito l’impressione di una manifestazione che metteva attenzione sulla musica come poco altro. Quest’anno con la guerra in Ucraina ha un valore che va oltre le canzoni».
I pronostici sono per Kalush Orchestra. Non è che la musica così finisce in secondo piano?
«Se una loro vittoria potesse portare, in maniera utopistica, alla fine della guerra, allora ben vengano 100 vittorie dell’Ucraina».
Le piace «Brividi»?
«Mahmood ha una voce bellissima, lui e Blanco sul palco sono pura energia».
Cosa accadde dopo quel secondo posto? La sua musica iniziò a viaggiare?
«Sì, arrivai in classifica in Francia e in Germania partecipai a molti festival, sia jazz che pop».
L’Eurovision territorio del trash-pop e della dance. Eppure i Maneskin hanno vinto col rock e lei arrivò secondo con una proposta jazz-swing…
«I pregiudizi alla fine cadono. Chi ha coraggio vince sempre. Quando vai fuori dal preconfezionato spesso riesci a destare interesse».
Il prossimo progetto con cui lei vuole destare interesse?
«Un disco in arrivo per l’estate che si chiamerà “Bar del Sole”. Ho riunito delle cover di brani come “Pigro” di Ivan Graziani; “Se perdo anche te” di Morandi; “Senza paura” di Vanoni, Toquinho e De Moraes in coppia con Margherita Vicario. Il Bar del Sole è il locale della mia città, Urbino, dove ho iniziato a suonare, ma vuole anche rappresentare un’atmosfera postpandemica ideale».