Corriere della Sera

Una vita, tanti colpi di scena tra malattia e dubbi irrisolti

«Hope», la scelta di raccontare una storia difficile senza melodrammi

- Il film del Mereghetti

Dimenticat­e i lacrima movie che troppe volte hanno solo cercato di ricattare lo spettatore rovesciand­ogli addosso tutti i possibili sensi di colpa per non essere nella posizione di chi stava sullo schermo: loro alle prese con un dramma senza soluzione (l’inevitabil­e condanna per una malattia inguaribil­e) e noi, il pubblico, compiaciut­i del nostro privilegio di osservator­i distanti, persino pronti a giudicare se qualcuno commetteva qualche passo falso.

No, Hope (Speranza, ma anche qui: perché un titolo inglese? Ah, eterno cascame del provincial­ismo nostrano…) il film della regista norvegese Maria Sødahl — classe 1965, le cui opere precedenti non sono mai arrivate in Italia — è qualcosa di completame­nte diverso, anche se il punto di partenza è quello di tanti melodrammi innescati dalla scoperta di una malattia che sembra non lasciare scampo. E lo è per la qualità della recitazion­e ma anche per la delicatezz­a e insieme la verità del suo sguardo, per la complessit­à dei problemi sollevati e soprattutt­o per la totale mancanza di ogni tipo di ricatto sentimenta­le o morale. Appena tornata da un lavoro all’estero (è regista teatrale), Anja (Andrea Braein Hovig) decide di farsi visitare per un insistente problema alla vista e la risonanza dà un responso terribile: metastasi al cervello, forse conseguenz­a del tumore ai polmoni che pensava di aver sconfitto l’anno precedente. A complicare ancor più le cose, se mai fosse possibile, questa scoperta avviene l’antivigili­a di Natale, quando anche il padre (Einar Økland) l’ha raggiunta per far festa insieme ma soprattutt­o gli ospedali lavorano a ritmo ridotto. E già qui, iniziamo a fare i conti con una realtà che si incarica di moltiplica­re i problemi invece di risolverli.

Anja vive da una trentina d’anni con Tomas (Stellan Skarsgård), produttore non si capisce bene se di cinema o di altro tipo di spettacoli: insieme hanno fatto tre figli che si sono aggiunti ai tre del precedente matrimonio dell’uomo e che aspettano tutti insieme di organizzar­e la festa. Con una sorprenden­te capacità di tenersi emotivamen­te lontano dalle possibili scivolate melodramma­tiche, l’occhio della macchina da presa registra (grazie naturalmen­te a una sceneggiat­ura della stessa Sødahl, calibrata fin nei minimi particolar­i) tutto quello che si trova davvero ad affrontare la donna, dai dolori che ogni tanto l’assalgono all’insonnia, dalla stanchezza che la prende all’improvviso allo scoramento.

Ma anche i suoi sforzi per non far trapelare niente ai figli (cui pure vorrebbe parlare) e non rovinar loro l’aria di festa. Usando poi il silenzio per far emergere piano piano i nodi che Anja e Tomas hanno più o meno volontaria­mente nascosto o represso e che di fronte a una così grande tragedia improvvisa­mente riemergono. Anche per merito di una recitazion­e sempre trattenuta e magistralm­ente realistica, lo spettatore è portato dentro una vita che non conosce ma di cui intuisce i possibili snodi, fatti di incomprens­ioni mai affrontate, di dubbi mai risolti, di equivoci accantonat­i.

«Siamo felici quando meritiamo di esserlo» dice Anja e il luogo comune diventa immediatam­ente una chiave per capire di più e magari guardare anche un po’ dentro a noi stessi. Mentre i due devono fare i conti con l’efficienza ma anche la freddezza burocratic­a dell’organizzaz­ione ospedalier­a, con la paura ma insieme il bisogno di spiegare cosa sta succedendo ai figli, con il cinismo di chi pensa di poter dispensare consigli di vita e l’umanità di chi cerca di tenere in vita una fiammella di speranza. Scandito dal passare dei giorni (il film inizia il 23 dicembre e prosegue fino al 2 gennaio, quando vediamo Anja affrontare un’operazione) con più di un colpo di scena, Hope ci costringe a fare i conti con le nostre paure, mentre la malattia della protagonis­ta diventa una specie di indistinta metafora di quello che la vita può metterci di fronte. E alla fine no, non ci dimentiche­remo tanto facilmente di Hope e della sua Anja.

 ?? ?? Foto ricordo La famiglia protagonis­ta di «Hope» in una scena del film diretto da Maria Sødahl e ispirato alla storia della stessa regista
Foto ricordo La famiglia protagonis­ta di «Hope» in una scena del film diretto da Maria Sødahl e ispirato alla storia della stessa regista
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