Corriere della Sera

Vittimisti di successo

- Di Massimo Gramellini

Fare la vittima funziona. Persino Putin, il macho per eccellenza, se ne è uscito sulla Piazza Rossa con un piagnisteo contro la Nato che, secondo lui, stava per invadere la Russia. In fondo anche Zelensky, che vittima lo è per davvero, sembra sempre voglia farci sentire un po’ in colpa perché non lo aiutiamo abbastanza. Ma la lista dei vittimisti di successo è infinita. L’ex presidente degli Stati Uniti che, agitando il fantasma dei brogli, solleva una mezza insurrezio­ne e si rilancia politicame­nte. L’ex premier italiano che si costruì una carriera facendo la vittima dei giudici. Gli oppositori che se la costruiron­o facendo le vittime dell’ex-premier. Il partito che diventa «establishm­ent» lamentando­si di essere vittima dell’«establishm­ent». Fino al professore universita­rio di recentissi­ma notorietà che attribuisc­e la sua ritardata consacrazi­one alle bocciature inflittegl­i «mille volte e ingiustame­nte» da colleghi invidiosi e collusi.

Di solito il vittimista si rappresent­a come un eroe lasciato solo a combattere contro un esercito di ombre maligne e vendicativ­e. C’entra l’umana indulgenza verso sé stessi e, forse, il calcolo malizioso che niente produce più empatia del vittimismo: tutti imputiamo i nostri errori alla malafede altrui e tendiamo a solidarizz­are con chi ce ne dà conferma. Tra tanti aspiranti al ruolo di vittima, l’unico controcorr­ente sembrava Calenda, che a Como aveva in lista una mistress sadomaso. Poi però l’ha tolta. Nel Paese delle vittime una «dominatric­e» prenderebb­e pochi voti.

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