Vittimisti di successo
Fare la vittima funziona. Persino Putin, il macho per eccellenza, se ne è uscito sulla Piazza Rossa con un piagnisteo contro la Nato che, secondo lui, stava per invadere la Russia. In fondo anche Zelensky, che vittima lo è per davvero, sembra sempre voglia farci sentire un po’ in colpa perché non lo aiutiamo abbastanza. Ma la lista dei vittimisti di successo è infinita. L’ex presidente degli Stati Uniti che, agitando il fantasma dei brogli, solleva una mezza insurrezione e si rilancia politicamente. L’ex premier italiano che si costruì una carriera facendo la vittima dei giudici. Gli oppositori che se la costruirono facendo le vittime dell’ex-premier. Il partito che diventa «establishment» lamentandosi di essere vittima dell’«establishment». Fino al professore universitario di recentissima notorietà che attribuisce la sua ritardata consacrazione alle bocciature inflittegli «mille volte e ingiustamente» da colleghi invidiosi e collusi.
Di solito il vittimista si rappresenta come un eroe lasciato solo a combattere contro un esercito di ombre maligne e vendicative. C’entra l’umana indulgenza verso sé stessi e, forse, il calcolo malizioso che niente produce più empatia del vittimismo: tutti imputiamo i nostri errori alla malafede altrui e tendiamo a solidarizzare con chi ce ne dà conferma. Tra tanti aspiranti al ruolo di vittima, l’unico controcorrente sembrava Calenda, che a Como aveva in lista una mistress sadomaso. Poi però l’ha tolta. Nel Paese delle vittime una «dominatrice» prenderebbe pochi voti.