Da escalation a vittoria Le parole che lo Zar ha deciso di non dire
Discorso dimesso per non irritare le famiglie dei soldati
MOSCA Una lieve esitazione. Non ci azzardiamo a definirla in altro modo. Vladimir Putin aveva appena finito di recitare la solita litania davanti ad Artiom Zhoga, il padre di Vladimir, colonnello della Repubblica di Donetsk morto il 5 marzo scorso a Volnovakha, vicino a Mariupol, «assicurando l’evacuazione di civili» da quella località. È caduto da eroe, ha dato la sua vita per la Patria, stava dicendo. Poi si è fermato. E ha cambiato registro. «La prego di credermi», ha proseguito. «Se ci fosse stata una sola possibilità per risolvere questa crisi con mezzi pacifici, noi sicuramente l’avremmo usata, glielo giuro. Ma non ce l’hanno concessa, non avevamo altra scelta». Per quanto decisamente confutabili, sono queste parole accorate, rivolte a un padre in lutto per il figlio, che possono spiegare tutte quelle che il presidente non ha pronunciato ieri in un discorso tanto atteso quanto cauto. Non ha fatto riferimento al nucleare, non ha dato inizio ad alcuna escalation, non ha trasformato l’Operazione militare speciale in guerra. Niente di tutto questo. Molti analisti si aspettavano almeno una la celebrazione di una vittoria parziale, la presa di Mariupol, o di qualche zona del Donbass. E se alcune voci dell’elenco precedente erano semplici timori occidentali, altre avevano un fondamento di realtà.
Ma non tenevano conto dei veri protagonisti del 9 maggio, i veterani in tribuna con le autorità, i milioni di familiari dei reduci della Grande guerra patriottica e di tutte le altre venute dopo, che hanno riempito le strade delle più grandi città russe. Sono loro le persone a cui si rivolge Putin, ma rappresentano anche la classe sociale che teme di più. Ai parenti degli eroi di guerra, eredi diretti di una mitologia che negli ultimi vent’anni il presidente ha riscritto e rinforzato, non puoi vendere quello che non hai. Un conto è la propaganda da affidare ai cialtroni televisivi. Un altro i familiari dei soldati. Furono le madri dei caduti in Cecenia a contestare Putin appena nominato primo ministro, furono le madri dei marinai del sottomarino Kursk affondato con l’intero equipaggio a gridare al presidente eletto da poco per la prima volta che aveva sbagliato a non accettare l’aiuto degli altri Paesi per le operazioni di soccorso, «perché in Russia non funzionava niente».
A loro non puoi mentire, ne va della tua popolarità. Puoi solo volare basso, come ha fatto ieri lui, con un discorso in tono minore, quasi sulla difensiva. E tenerteli buoni, dimostrando di essere uno di loro. Dopo la parata, Putin si è messo alla testa del Reggimento Immortale. Accanto a lui c’era il padre di Vladimir Zhoga.
A chi si rivolgeva I veri protagonisti del 9 maggio sono i veterani in tribuna, i milioni di familiari dei reduci