Mio fratello apicoltore finito senza pietà»
Nel villaggio dove i russi a marzo hanno seminato violenze e distruzione. La denuncia della donna: «L’hanno ucciso perché era un veterano del Donbass»
NOVOFONTANKA (REGIONE DI MYKOLAIV) «Sergey non era un uomo di molte parole. Si prendeva cura delle api e faceva il miele per tutto il villaggio». Tatiana non ha più i denti. Intorno agli occhi azzurro polvere, le rughe sono solchi profondi. Tre giorni prima, il 3 maggio, gli esperti forensi hanno tirato fuori il corpo di suo fratello Sergey da una fossa sulla collina.
La pioggia cade in orizzontale mentre il vento soffia sull’erba davanti al cimitero del villaggio. Alex sta scavando un’altra fossa. Sarà la tomba di Sergey. Il suo corpo è sul tavolo dell’obitorio di Mykolaiv, dove gli inquirenti ucraini l’hanno trasferito per gli esami autoptici. «Sergey aveva 45 anni, non aveva né moglie né figli. Era un veterano del Donbass». Tatiana tira fuori dalla tasca un sacchetto di plastica lacera. Dentro, il passaporto del fratello, con la doppia foto come si usa in Ucraina, la prima a 25 anni, la seconda a 45. Poi, un tesserino, è quello dell’esercito, su cui c’è scritto che Sergey è stato decorato al valore dopo aver combattuto in Donbass nel 2014.
Sulla collina
Sono i primi di marzo quando due divisioni dell’esercito russo si accampano sulla collina sopra il villaggio. Stanno scendendo verso Mykolaiv, provando a fare una mossa a tenaglia per accerchiare il porto. «Erano in migliaia, avevano mezzi blindati, armi e carri armati». Novofontanka è uno dei primi villaggi ad essere preso. A terra, i resti delle scatole verdi e bianche del rancio dell’esercito russo. Ma anche lattine, mutande, bottiglie di vodka. Scavate nella terra, le trincee in cui hanno nascosto i carri armati. «Sono stati qui dieci giorni, hanno depredato tutto, noi siamo povera gente: cosa potevamo fare?».
Il 6 marzo, al mattino, i soldati iniziano a sparare contro la casa di Sergey. Usano l’artiglieria pesante contro la baracca dove l’uomo tiene gli attrezzi. Poi si presentano nel cortile. Tatiana è con il fratello. «Il comandante era un russo, aveva il volto coperto da un passamontagna nero. Uno di loro lo chiamavano Altaiez. (Altaj è il nome di una catena montuosa che si trova tra la Mongolia e la Siberia, regione da cui provengono i buriati, ndr)». A Tatiana puntano il fucile tra le gambe. E si portano via Sergey. «Avevano visto la sua foto appesa nella scuola, insieme a quelle degli altri veterani del Donbass, per quello se lo sono presi. Da allora non l’ho mai più rivisto».
Il procuratore generale di Bashtanka, Olexander Olexandrovic, si passa una mano tra i capelli zuppi di pioggia. La sua famiglia è originaria di un villaggio vicino. È lui che sta investigando sul caso di Sergey. È lui che pagherà per i funerali visto che la famiglia non ha nulla. «Nella mia carriera ho visto tanta violenza ma mai avrei pensato di trovarmi a investigare su un crimine di guerra». Cammina insieme a Tatiana verso la fossa. Gli sminatori hanno bonificato l’area la settimana prima. «L’ho riconosciuto dalla struttura del corpo», sussurra Tatiana mentre gli occhi si riempiono di lacrime.
«Senza sosta»
È l’8 marzo. Il sole sta per tramontare dietro la collina di Novofontanka. Sono passati due giorni da quando Sergey è stato preso. I soldati lo trascinano verso l’accampamento. Lo hanno picchiato senza sosta. Si trascina a fatica. È sull’orlo della fossa. Il sole è ormai dietro la collina quando il corpo di Sergey viene calato dentro la fossa con una scaletta di legno. Intanto dall’obitorio di Mykolaiv arriva il primo referto. «La morte è sopravvenuta in seguito ad un profondo taglio alla gola, sul lato sinistro del collo con ferita che va da sinistra a destra. Alla base del cranio sul lato destro, il foro di un proiettile. Sul corpo si registrano evidenti segni di tortura», spiegherà poche ore più tardi Georgy, medico legale dell’obitorio. «Per quella che è la mia esperienza di veterano della Bosnia, potrebbero essere state le truppe cecene ad ucciderlo mentre i buriati lo hanno torturato», spiega ancora Georgy. «Il corpo, al momento del ritrovamento, mostrava gli arti inferiori legati. La profondità del taglio alla gola lascia intendere che il decesso sia avvenuto dopo 3 minuti. Lo sparo alla testa probabilmente è avvenuto post mortem ma sono necessari altri esami per stabilirlo, dato anche l’avanzato stato di decomposizione del corpo».
I quattro barattoli
Più giù a valle, nella casa di Sergey, una baracca con due stanze, la bara foderata di velluto blu è aperta. Sergey Stepanovic
"Il blitz
La sua foto era appesa nella scuola, per questo l’hanno riconosciuto Ora voglio solo giustizia
Kucereshko nato il 23 giugno 1976 e morto l’8 marzo 2022. Appesa al muro una vignetta di Paperino. «Gli piacevano i fumetti», sussurra Tatiana. Poi si sposta verso il fienile. Dentro ci sono quattro barattoli di vetro colmi di miele. È il miele che preparava Sergey. Poco più in là le arnie sono ancora piene di insetti. «Avevano paura di essere punti quei bastardi, per quello non li hanno toccati».
Il sole sta per tramontare. Per terra c’è un tubo di vaselina per bambini. «Hanno rubato tutto dai negozi, hanno fatto ogni genere di cosa», dice Tatiana guardando lontano. Poi alza il mento. «Non voglio vendetta. Voglio solo giustizia per mio fratello». Il vento cessa per un attimo di soffiare. Un’ape ronza piano. Poi si posa sulla manica della giacca logora. «Me l’ha mandata Sergey per proteggermi».