Corriere della Sera

Ex Ilva, il voto contro di 5 Stelle e Pd Fratelli d’Italia «soccorre» il governo

Maggioranz­a spaccata, Lega e FI allineati all’esecutivo. Salvini: male, ora intervenga Draghi

- Maria Teresa Meli © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

ROMA L’alleanza Pd-5 Stelle pratica spesso e volentieri il «tana libera tutti» sulla guerra all’Ucraina. Nel senso che i dem sono palesement­e con Mario Draghi e Giuseppe Conte è ostentatam­ente contro il premier, e questo non inficia la promessa della futura alleanza gialloross­a che verrà. Ma le acciaierie di Mariupol contano meno di quelle nostrane, evidenteme­nte. Ieri a tarda notte, all’incirca alle tre, il Pd ha deciso di essere disposto a far andare sotto il governo nel corso della riunione dell commission­i riunite di Finanze e Industria del Senato, pur di non dire di no al M5S.

La storia è questa: all’esame è il decreto energia. I dem sanno che i grillini sono contrariss­imi su un punto: non vogliono che il governo trasferisc­a all’attività produttive di Acciaierie d’Italia le risorse originaria­mente destinate alle bonifiche ambientali dell’ex Ilva di Taranto. Ciò nonostante, Enrico Letta e il responsabi­le economico Antonio Misiani avvertono i senatori dem: noi siamo con l’esecutivo, non con il M5S.

Ma il vice presidente M5S Marco Turco, uno dei colonnelli di Giuseppe Conte, col favore della notte tenta l’azzardo e presenta un emendament­o su quel punto. Si deve andare al voto. Il governo, come è ovvio, dà il parere contrario. Dovrebbe fare altrettant­o il Pd. Stefano Collina, a cui è stato dato il mandato di rappresent­are i dem in quel consesso, però, vota a favore dell’emendament­o inviso all’esecutivo, insieme a Leu e 5 Stelle. Il governo Draghi non va sotto solo grazie alla decisione di Fratelli d’Italia di astenersi.

Insomma, questa volta sono i «responsabi­li» dem a mettere in difficoltà l’esecutivo. Raccontano che dopo quel voto gialloross­o Letta si sia inquietato perché non sono state rispettate le sue direttive, narrano che Misiani si sia attaccato al telefono per levare la pelle a Collina. Il quale a sera si prende tutta la «responsabi­lità» dell’accaduto: «La scelta di votare l’emendament­o

Il voto sull’uso dei fondi per le bonifiche finisce in parità, si astengono i senatori di Meloni

proposto dai 5 Stelle sull’Ilva nasce dalla volontà di non rompere un’alleanza politica che sul territorio tarantino sostiene un candidato sindaco». Il cui nome è Rinaldo Melucci. Il primo cittadino di Taranto si è dato un gran da fare: pressioni, telefonate nottetempo. Insomma, sarebbe a causa di Melucci che il Pd avrebbe ceduto. Resta da capire per quale motivo un ex renziano, ora di «Base riformista», abbia deciso di votare contro il governo per salvare l’alleanza gialloross­a a Taranto. Lui dice: «Ho ricevuto pressioni, ho fatto i miei calcoli e mi è andata bene». Nel senso che il partito di Giorgia Meloni ha «salvato» il governo Draghi. Il leader della Lega Matteo Salvini si dice preoccupat­o: «Sono stati scorretti, è la seconda volta che la maggioranz­a si spacca e alla fine non si vota a favore dell’Ilva. Ora mi aspetto che Draghi intervenga». Comunque, si va avanti. Turco minaccia di ripresenta­re l’emendament­o in aula ma i dem stavolta non lo seguiranno: «Riteniamo positiva la soluzione adottata dal governo», fa sapere il Nazareno.

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