Omaggio alle vittime del terrorismo Lo sfogo alla Camera della vedova Biagi
«Fu imperdonabile lasciarlo senza scorta»
La brutta storia della sottovalutazione dei pericoli corsi dal professor Marco Biagi, ultima vittima designata delle Brigate rosse (l’anno successivo il poliziotto Emanuele Petri venne ucciso in un conflitto a fuoco su un treno, ma quello di Biagi è l’ultimo delitto pianificato a tavolino), è nota da vent’anni. Dalla sera stessa dell’omicidio, consumato sotto i portici di Bologna il 19 marzo 2002. E tuttavia quella sottovalutazione suscita ancora indignazione e scandalo.
Marina Biagi, moglie del professore, da uno scranno di Montecitorio scandisce la motivazione con cui i vertici della sicurezza tolsero la scorta a suo marito: «Non esisteva il pericolo delle Br», nonostante fossero ancora liberi e sconosciuti i killer del professor Massimo D’Antona assassinato tre anni prima. «Questo è imperdonabile — aggiunge la signora Marina alzando gli occhi dai fogli che sta leggendo —. Non l’avevo scritto, ma è imperdonabile».
La rigida ufficialità della cerimonia in memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi s’infrange per un momento, ma l’applauso sancisce che è giusto così. Perché non c’è cerimoniale che tenga quando si deve ricordare chi ha pagato con la vita per mano dei sicari, ma anche per le negligenze altrui. O per le complicità, i depistaggi e le coperture. Così l’esercizio della memoria che ogni anno si rinnova davanti al capo dello Stato e alle più alte cariche istituzionali assume un significato ancora più importante; si spoglia di ogni formalismo per diventare monito alla ricerca dei frammenti di verità non ancora raggiunti su vicende del secolo scorso, lontane anche più di cinquant’anni ma sempre attuali. Non fosse che per le ferite rimaste aperte, come quelle inferte alla famiglia Biagi.
Dai banchi della Camera dei deputati — dove si svolge l’edizione 2022 di un ricordo collettivo che coincide con l’anniversario dell’omicidio di Aldo Moro — prendono la parola anche testimoni di vicende personali che si sono intrecciate con la storia della nazione.
Maria Cristina Ammaturo, figlia del commissario di polizia Antonio Ammaturo ucciso dalle Br a Napoli, il 15 luglio 1982, ripercorre la carriera del padre e sottolinea come non si sia mai occupato di indagini sul terrorismo. Lavorava sulla camorra di Raffele Cutolo e le relative faide , quel poliziotto testardo e trasferito suo malgrado dalla Campania all’inizio degli anni Settanta. Poi tornò e riprese a contrastare il crimine organizzato, ma a toglierlo di mezzo furono le Br: forse il prezzo pagato nel baratto tra le Br e Cutolo seguito al sequestro e alla liberazione dell’assessore democristiano Ciro Cirillo, rapito dai terroristi nel 1981. Le trattative tra lo Stato e i carcerieri dell’uomo politico, con la mediazione di servizi segreti e camorra, sono emerse solo in parte, e l’omicidio Ammaturo potrebbe rientrare nei patti indicibili mai svelati.
«Chiedo che sia fatta luce su questa morte oscura», insiste la figlia della vittima. Come chiede che si faccia piena luce sulla morte di suo zio Luigina Dongiovanni, nipote del carabiniere Franco Dongiovanni, saltato in aria il 21 maggio 1972 a Peteano insieme ai colleghi Antonio Ferraro e Donato Poveromo. Per quella strage è in carcere da oltre quarant’anni il reo confesso Vincenzo Vinciguerra,
neofascista che decise di attaccare l’Arma per ribellarsi all’idea che i «camerati» avessero stretto accordi con il potere dalla bomba di piazza Fontana in avanti. Ma pure su quell’attentato ci furono depistaggi e restano zone d’ombra. Due settimane prima, a Milano, era stato assassinato il commissario Luigi Calabresi, vittima di attacchi che lo indicavano ingiustamente come responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli prima dei colpi di pistola che lo abbatterono la mattina del 17 maggio ‘72.
Le sentenze contro i dirigenti e attivisti di Lotta continua condannati per quel delitto fanno dire al figlio Mario: «Noi come tanti altri, abbiamo avuto il conforto della giustizia dello Stato, ma alcune tessere del mosaico ancora mancano». Rompere «un silenzio che è omertà» sarebbe un’occasione di riscatto «per chi ha aiutato, sostenuto, fiancheggiato coloro che hanno ucciso». E per «chi sa», qualunque ruolo abbia giocato. Dopo mezzo secolo resta ancora un po’ di tempo.
La figlia del commissario: «Chiedo sia fatta luce su questa morte oscura»