DEVOZIONE SICILIANA
Il Giro d’Italia riprende dall’isola Avola con le sue processioni tra venerazione e scandalo racconta una storia di santi familiari
Il culto di San Sebastiano lega paesi diversi. Ci si ritrova uniti nelle sfilate religiose, come quella dei «Nuri», detta così perché un tempo era senza vestiti Poi le cose degenerarono e il vescovo corse ai ripari
Mai dimenticare che il Giro d’Italia è anche il Giro dei Santi, visto che ogni paese ha il suo. Domenica ad Avola si è ripetuta, come ogni seconda domenica di maggio, la processione dei Nuri (i «nudi») consacrata a San Sebastiano. In tutta la Sicilia orientale il culto del milite cristiano perseguitato da Diocleziano è ben diffuso sin dal Medioevo. Anzi, a ben guardare, la quarta tappa si iscrive perfettamente sotto il suo nome, se è vero che sul percorso lo celebrano anche Palazzolo Acreide (km 36,9) e Francofonte (km 78), per non dire di Ferla, Sortino e Melilli che si trovano negli immediati dintorni e che sono centri ugualmente fedeli al soldato imperiale trafitto dalle frecce. Ed essendo glorificato come protettore dei vigili, niente di più opportuno per il Giro d’Italia che affidarsi subito alla sua tutela, visto che alla polizia locale tocca il compito di far funzionare le deviazioni e i blocchi del traffico.
In realtà, il culto avolese del santo di Narbonne risale a un’epoca remota, se è vero che nella città antica esisteva una chiesa di San Sebastiano, eretta nel 1449 e distrutta dal terremoto del 1693, che rase al suolo buona parte del Val di Noto. La processione scandalosa dei cosiddetti Nuri si impose invece a fine ‘800, per imitazione di Melilli, dove il rito era fissato al 4 maggio: fu per evitare una fastidiosa concorrenza a pochi chilometri di distanza, giacché anche la devozione ha le sue regole di audience, che gli avolesi decisero di slittare alla seconda domenica di maggio. L’usanza finì per imporsi grazie ai macellai (così riferisce, citando lo storico Gubernale, l’antropologo e poeta avolese Sebastiano Burgaretta, detto Jano come tutti i Sebastiani siculi).
Perché i macellai? Perché erano una «classe danarosa» che, con i suoi contributi, poteva garantire una festa grandiosa. E uno spettacolo decisamente sopra le righe, con manifestazioni folkloriche paganeggianti che prevedevano la sfilata di pellegrini coperti di solo perizoma e provenienti dalla contrada Chiusa di Carlo, in cui sorgeva (e sorge) un’edicola votiva in pietra calcarea dedicata al Santo. Quando l’esuberanza devozionale tracimò in esibizioni notturne prive di perizoma e sbirciate da dietro gli scuri delle case con crescente curiosità, il vescovo di Noto dovette intervenire con un decreto per censurare certe «scene selvagge» ritenute ripugnanti e attentatrici del pudore. Ordinò, insomma, a tutti di rivestirsi, pena la sospensione a divinis per i sacerdoti.
Ma poiché alcuni devoti continuarono a percorrere ginocchioni la navata centrale della Matrice, magari strisciando la lingua sul pavimento, la chiesa venne chiusa. E solo allora i fedeli si convinsero a indossare le mutande. Finché, nel 1941, il clero avolese impose agli uomini camicia e pantaloni bianchi (bianchi come la fede) con larga fascia rossa (come il martirio) portata a tracolla e annodata alla vita. Le donne vi potevano partecipare con abiti rossi e con i capelli sciolti sulle spalle.
Unica trasgressione: ai pellegrini era permesso camminare scalzi. E così li abbiamo visti domenica, uomini donne bambini al piccolo trotto in piazza verso la Matrice (corridori pure loro in attesa dei ciclisti...), in costume votivo, il bianco ormai concesso anche al sesso femminile, tra le mani panini di forma circolare (cuddhura), mazzetti di fiori, statuine del santo più apollineo e conturbante che esista. E le invocazioni urlate sotto un cielo un po’ minaccioso: «Viva Ddiu e Sam-Mastianu!», «Ecciamàmulu, ca n’aiuta!», «E-nn’è Santu miraculusu», viva Dio e San Bastiano, chiamiamolo che ci aiuta, il santo miracoloso... Non solo San Sebastiano. La quarta tappa del Giro dei Santi è costellata di protettori e patroni famosi: al km 10 comparirà San Corrado Confalonieri, che non è mai stato santo ma è come se lo fosse. E infine, alle falde dell’Etna, verrà incontro ai ciclisti «’a santuzza» di Catania, Agata: il cui velo tiene lontane la peste e la lava. Martire pure lei, ricorderà ai corridori che ci sono tormenti peggiori che scalare fino ai 1892 metri.