Bach o Beatles L’importante è farsi sedurre dalla bellezza
L’apparente stravaganza del mio recital «Magic Mistery Tour: BACH TO BEATLES» esigeva la presentazione di una penna dottissima ed amorosa. Quella di un musicologo come Alberto Batisti. Che la terminò così: «”Chiunque vive la gioia della musica ama Bach”, disse una volta Leonard Bernstein e ciò vale anche per i Beatles». Accostamento che, ben lontano dall’essere irriverente, accomuna con verosimiglianza quei mondi distanti due secoli e mezzo e fa scoprire in realtà quanto abbiano in comune. Pensiamo innanzitutto alla formidabile sintesi bachiana fra musica liturgica evangelica e cattolica, concerto, sonata e melodia accompagnata italiana. E alla altrettanto formidabile sintesi dei linguaggi novecenteschi da parte dei Beatles, dal pop al rock, dal blues al jazz e alle citazioni del canto tradizionale britannico, senza trascurare le più intriganti divagazioni celtiche e le incursioni culturali fino all’elettronica di Stockhausen. E pensiamo anche alla grande comunicativa delle musiche sia di Bach che dei Beatles verso ogni tipo di pubblico. Nel mio programma potrete ascoltare pagine bachiane trascritte dall’organo, dal violino e dal flauto da Busoni, Lipatti, Joseffy, Pick-Mangiagalli e Siloti in alternanza a versioni pianistiche di Alessandro Lucchetti delle canzoni dei Beatles. Michelle accanto all’Aria sulla quarta corda o Yesterday vicino a una delle più severe fughe bachiane del Clavicembalo ben temperato in una bellezza sempre disponibile per tutti, dai fedeli di una chiesa tedesca di secoli fa ai giovani assembrati negli stadi novecenteschi. Mi permetto una nota personale da mettere accanto a questi giganti (ma in fondo iniziamo tutti con la B: Bach, Beatles, Ballista…). Non è la prima volta che ideo un progetto come questo, da quarant’anni mi batto per abbattere muri e distinzioni tra i generi musicali. Le mie frequentazioni fuori dalla classica iniziarono quando ero studente con Boulez a Parigi e mi imbattei negli spartiti di Scott Joplin: mi si aprì un mondo e conobbi il ragtime non come si faceva di solito, ascoltandolo alla radio, ma studiandolo sulla partitura. Era un balsamo, mi permise di arrivare rilassato e riposato all’esecuzione finale della musica di Boulez, concettualmente esigentissima; ovviamente a lui non rivelai mai il mio segreto, non l’avrebbe apprezzato. Sono poi passato al jazz. Di un genio come Cole Porter tutti conoscono due canzoni, ma ne ha scritte 900, io ne ho potute studiare 200 e fu difficilissimo sceglierne alcune, perché erano tutte dei capolavori. E la musica da film? Oggi finalmente è accettata anche nelle stagioni concertistiche classiche; Morricone per me ha scritto cinque brani. Ho scelto un programma che intreccia Beatles e Bach perché Piano City Milano può essere una «via di Damasco» per chi non va a concerto o ha pregiudizi su un certo tipo di musica: un evento dove inciampare nelle espressioni più disparate della musica, e dalla cui bellezza farsi.