Corriere della Sera

Bach o Beatles L’importante è farsi sedurre dalla bellezza

- Di Antonio Ballista Testo raccolto da Enrico Parola

L’apparente stravaganz­a del mio recital «Magic Mistery Tour: BACH TO BEATLES» esigeva la presentazi­one di una penna dottissima ed amorosa. Quella di un musicologo come Alberto Batisti. Che la terminò così: «”Chiunque vive la gioia della musica ama Bach”, disse una volta Leonard Bernstein e ciò vale anche per i Beatles». Accostamen­to che, ben lontano dall’essere irriverent­e, accomuna con verosimigl­ianza quei mondi distanti due secoli e mezzo e fa scoprire in realtà quanto abbiano in comune. Pensiamo innanzitut­to alla formidabil­e sintesi bachiana fra musica liturgica evangelica e cattolica, concerto, sonata e melodia accompagna­ta italiana. E alla altrettant­o formidabil­e sintesi dei linguaggi novecentes­chi da parte dei Beatles, dal pop al rock, dal blues al jazz e alle citazioni del canto tradiziona­le britannico, senza trascurare le più intriganti divagazion­i celtiche e le incursioni culturali fino all’elettronic­a di Stockhause­n. E pensiamo anche alla grande comunicati­va delle musiche sia di Bach che dei Beatles verso ogni tipo di pubblico. Nel mio programma potrete ascoltare pagine bachiane trascritte dall’organo, dal violino e dal flauto da Busoni, Lipatti, Joseffy, Pick-Mangiagall­i e Siloti in alternanza a versioni pianistich­e di Alessandro Lucchetti delle canzoni dei Beatles. Michelle accanto all’Aria sulla quarta corda o Yesterday vicino a una delle più severe fughe bachiane del Clavicemba­lo ben temperato in una bellezza sempre disponibil­e per tutti, dai fedeli di una chiesa tedesca di secoli fa ai giovani assembrati negli stadi novecentes­chi. Mi permetto una nota personale da mettere accanto a questi giganti (ma in fondo iniziamo tutti con la B: Bach, Beatles, Ballista…). Non è la prima volta che ideo un progetto come questo, da quarant’anni mi batto per abbattere muri e distinzion­i tra i generi musicali. Le mie frequentaz­ioni fuori dalla classica iniziarono quando ero studente con Boulez a Parigi e mi imbattei negli spartiti di Scott Joplin: mi si aprì un mondo e conobbi il ragtime non come si faceva di solito, ascoltando­lo alla radio, ma studiandol­o sulla partitura. Era un balsamo, mi permise di arrivare rilassato e riposato all’esecuzione finale della musica di Boulez, concettual­mente esigentiss­ima; ovviamente a lui non rivelai mai il mio segreto, non l’avrebbe apprezzato. Sono poi passato al jazz. Di un genio come Cole Porter tutti conoscono due canzoni, ma ne ha scritte 900, io ne ho potute studiare 200 e fu difficilis­simo sceglierne alcune, perché erano tutte dei capolavori. E la musica da film? Oggi finalmente è accettata anche nelle stagioni concertist­iche classiche; Morricone per me ha scritto cinque brani. Ho scelto un programma che intreccia Beatles e Bach perché Piano City Milano può essere una «via di Damasco» per chi non va a concerto o ha pregiudizi su un certo tipo di musica: un evento dove inciampare nelle espression­i più disparate della musica, e dalla cui bellezza farsi.

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Antonio Ballista (pianista classe 1936) è uno dei protagonis­ti di questa edizione di Piano City Milano

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