Corriere della Sera

Ergastolo ostativo, altri sei mesi per riscrivere la legge

La Corte costituzio­nale ha rinviato la decisione all’8 novembre

- Di Giovanni Bianconi

ROMA Il tempo è scaduto, ma la Corte costituzio­nale ne concede ancora. Non è bastato un anno per varare una riforma dell’ergastolo ostativo che renda la limitazion­e dei benifici penitenzia­ri per i detenuti di mafia (e non solo) compatibil­i con la Costituzio­ne. Un mese fa la Camera ha approvato un disegno di legge che dovrebbe correggere le storture già segnalate dalla Consulta, ma al Senato il lavoro è appena cominciato.

Così i «giudici delle leggi» avevano davanti due strade: abrogare la norma vigente, eliminando il requisito del «pentimento» per poter chiedere la liberazion­e condiziona­le e altri benefici, oppure un ulteriore rinvio della decisione, in attesa che la riforma in discussion­e diventi legge, sollecitat­o dall’Avvocatura dello Stato. Hanno scelto la seconda via.

«Permangono inalterate — recita l’ordinanza letta ieri dal presidente Giuliano Amato — le ragioni che hanno indotto questa Corte a sollecitar­e l’intervento del legislator­e al quale compete, in prima battuta, una complessiv­a e ponderata disciplina della materia» sulla base dei rilievi di incostituz­ionalità indicati nel 2021. E con il cammino della riforma giunto a metà strada, «appare necessario un ulteriore rinvio dell’udienza, per consentire al Parlamento di completare i propri lavori».

Tuttavia ci sono i detenuti che aspettano. In particolar­e S.P., che è ricorso in Cassazione contro il diniego di liberazion­e condiziona­le ottenendo l’intervento della Consulta. «Dopo un primo generoso rinvio la nuova legge non c’è, e nessuno può prevedere che arriverà a breve — ha spiegato alla Corte la sua avvocata Giovanna Beatrice Araniti —. Se una norma è incostituz­ionale dev’essere dichiarata tale, a prescinder­e da ciò che sta facendo il legislator­e». Una richiesta che i giudici non hanno accolto, fissando però l’ulteriore rinvio «in tempi contenuti»: sei mesi, prossima udienza l’8 novembre. «E così per il momento si conclude il nostro lavoro. Per il momento...», ha sottolinea­to Amato terminata la lettura dell’ordinanza in udienza pubblica.

Il nodo dell’incostituz­ionalità dell’ergastolo ostativo così come concepito dopo le stragi mafiose di trent’anni fa, ruota intorno alla «assoluta pericolosi­tà presunta» di un condannato per appartenen­za alle cosche che non collabora con i magistrati. Il mancato «pentimento», ha già stabilito la Corte, non può essere un automatism­o che preclude i benefici penitenzia­ri, giacché impone «conseguenz­e afflittive ulteriori e impedisce il percorso carcerario del condannato, in contrasto con la funzione rieducativ­a della pena». Ma l’abolizione della norma senza riforma, stabilì la Corte un anno fa, al momento del primo rinvio, «rischiereb­be di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalit­à», nel quale i pentiti giocano un ruolo centrale.

Il Parlamento ha imboccato una strada che per alcuni è un «liberi tutti», e per altri è a sua volta incostituz­ionale poiché ripropone i limiti censurati dalla Consulta. Che con la decisione di attendere ancora ha suscitato le proteste dell’associazio­ne radicale Nessuno tocchi Caino: «La Corte ha manifestat­o la massima consideraz­ione degli interessi dei partiti rappresent­ati in Parlamento e il minimo rispetto per la vita e la dignità di 1.200 ergastolan­i che continuano a essere vittime dell’illegalità del regime ostativo».

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