L’Orchestra ucraina scalda l’Eurovision
I Kalush in finale, standing ovation dal pubblico Apertura dello show con «Nessun dorma» Omaggio di Laura Pausini a Raffaella Carrà
TORINO Globale (40 nazioni partecipanti) e locale (i cantanti sono praticamente tutti sconosciuti eccetto che nel proprio Paese d’origine), vette trash, estetica da capodanno al Billionaire quando arrivano le bottiglie di champagne con il fuoco dei bengala (vedi il momento flambé a inizio show): l’Eurovision Song Contest si è acceso ieri sera con la sua atmosfera da circo che unisce l’Europa in un abbraccio da 200 milioni di spettatori. Sintetizza il messaggio l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes: «Dalla musica arriva un invito a un futuro insieme, in un momento delicato per l’Europa».
Scaletta rigidissima, pochi svolazzi, altro che le maratone di Sanremo. La versione internazionale con la conduzione dal palco e in inglese del trio Cattelan-Mika-Pausini: stile asciutto e banale, ma la colpa è del format che prevede vigili piuttosto che presentatori. Per la diretta su Rai1 si aggiungono le voci fuori campo di Carolina Di Domenico, Gabriele Corsi e Cristiano Malgioglio che fanno radio più che tv: i primi due più istituzionali; l’altro che alterna giudizi tecnici e aneddoti personali interessanti solo perché totalmente fuori contesto («ho avuto un fidanzato svizzero che mi ha lasciato»; «sono un infedele di natura, andrò all’inferno»). Italianità in apertura: omaggio al genio di Leonardo Da Vinci e al «Nessun dorma» di Puccini massacrato da un’arpa laser.
La prima a salire sul palco è l’albanese Ronela Hajati che ha fatto parlare di sé più per gli (osceni) attacchi di body shaming piuttosto che per una canzone, quella sì, brutta forte. Il momento più atteso arriva con l’ucraina Kalush Orchestra, la band che mescola rap e folk e solleva un inevitabile moto di solidarietà collettiva: standing ovation ma l’Eurovision non è Sanremo, la regia non indugia, il tempo per gli applausi è uguale per tutti.
Il trash è una costante dell’Eurovision. La gara al ribasso se la giocano i norvegesi Subwoolfer, testo nonsense e maschere gialle da lupo, e il mischione fra folklore dei Carpazi e country da festa della birra dei moldavi Zdob si Zdub. Bene l’Armenia folk (non folklore) di Rosa Linn, l’essenzialità dell’olandese S10 e l’eleganza anni ‘20 della lituana Monika Liu.
Un treno che fila dritto verso il verdetto di televoto e giurie nazionali. Prima ci sono gli ospiti. Diodato avrebbe dovuto partecipare all’Esc nel 2020 dopo la vittoria a Sanremo di «Fai rumore». Gara annullata causa pandemia. Non si sente in credito. «Il biglietto per queste montagne russe l’ho comprato io: non chiedo indietro i soldi. Questa è una bella chiusura del cerchio. Sul palco ho portato un racconto che partiva dall’isolamento al pianoforte per arrivare al contatto fisico dei ballerini simbolo di un’umanità che da congelata torna alla vita». Italianità anche in chiusura: Pausini ricorda Raffaella Carrà e Dardust omaggia la dance italiana, quella che esportava in tutto il mondo, con un geniale viaggio fra pianoforte, elettronica, percussioni tribali: Moroder, Robert Miles, Eiffel 65, Gigi D’Agostino per sfociare nel suo ultimo singolo con Benny Benassi e Sophie and the Giants.
Vanno in finale in 10: Svizzera, Armenia, Islanda, Lituania, Portogallo, Norvegia, Grecia, Ucraina, Moldavia, Olanda.