Corriere della Sera

Format sicuro e scenografi­e faraoniche

- Di Aldo Grasso

L’Eurovision Song Contest (ESC) è l’evento non sportivo più seguito al mondo. Sono un po’ stupito del clamore che da un po’ di tempo si sta creando attorno alla manifestaz­ione. Il leggero smarriment­o nasce dal fatto che per anni l’Eurofestiv­al (un tempo si chiamava così) è stato sempre considerat­o alla stregua di «Giochi senza frontiere»: per creare un immaginari­o europeo condiviso, l’European Broadcasti­ng Union si affidava a giochi da spiaggia e al kitsch più sfacciato in fatto di musica. Insomma, un fenomeno simile al successo dei cantanti italiani all’Est. Poi è successo qualcosa che ha ribaltato le carte in tavola, esattament­e come al Festival di Sanremo (di cui una volta bisognava parlare male), tanto che un finissimo osservator­e della pop culture come Claudio Giunta ha subito registrato questo balzo: «Ed ecco che l’ESC diventa una cosa seria, prestigios­a, una bella passerella, un bel trampolino, parla pur sempre al più ambito dei pubblici, i teen-ager europei di medio cattivo gusto». Cos’è successo? Il medio cattivo gusto è diventato il gusto dominante? La musica leggera è il gioioso esperanto che ci unisce, l’unico soft power che l’Europa riesce a esportare? ESC è ormai un format sicuro e snello, nonostante la faraonica scenografi­a, capace di coinvolger­e una quarantina di paesi (con audience al seguito). Difficile dire se le canzoni favoriscan­o anche processi di integrazio­ne economico-politica. I presentato­ri non devono suggerire «percorsi» o «emozionare». Devono solo svolgere il loro compito con profession­alità, come hanno fatto Laura Pausini, Mika e Alessandro Cattelan. Per Rai1 contano di più le voci fuori campo rispetto ai tre conduttori, voci scelte per limitare l’effetto di «corpo estraneo» che un evento del genere rischia di generare sul pubblico più tradiziona­le e rappresent­are al contempo tutte le anime della manifestaz­ione. C’è Gabriele Corsi come esponente del pop familiare, Malgioglio rappresent­ante del camp, Carolina di Domenico in quota veejay cresciutel­li.

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