Verdi, sul podio la concretezza di Luisotti
Riccardo Chailly costretto al forfait per malattia, il regista che ha un malore, cantanti che provano online per Covid: la nuova produzione di Un ballo in maschera non può dirsi tappa fortunata della stagione della Scala, che per diverse ragioni non è fortunata di suo. Poi alla prima succede che le cose si raddrizzano e il teatro tributa applausi a non finire. Francesco Meli piace sempre, Luca Salsi è più ordinato di altre volte e Sondra Radvanovsky riceve ovazioni a ogni sortita, benché convinca molto nelle parti drammatiche e poco in quelle liriche. Né sfigurano Yulia Matockina (Ulrica) e il pungente Oscar Federica Guida. Ciò si deve in buona misura alla concretezza del direttore d’orchestra Nicola Luisotti.
Sempre meglio un Verdi imperfetto per eccesso che per difetto. Ed è il caso della sua lettura, che bada al sodo, cura la vocalità (non un dettaglio nell’opera verdiana melodicamente più rigogliosa) senza concedere troppa libertà, marca gli accompagnamenti e ottiene, almeno nei primi due atti, un ritmo drammatico per cui l’opera «cammina» (perché nel terzo atto meno, è un mistero). Tanti applausi sarebbero dunque meritati. La nave va in porto. Resta però da sottolineare che la messinscena di Marco Arturo Marelli è deludente. L’idea di un’ambientazione «psichica» resta sulla carta più che nella concretezza della scena, la recitazione è vaga, il teatro nel teatro per l’episodio del ballo è ovvio e non poco banalizzato risulta il ritratto dei personaggi, specie Renato, pedina chiave e assai sottile della storia.
Un ballo in maschera
Regia Marco Arturo Marelli; direzione Nicola Luisotti 6 ●●●●●●●●●●