Il solito Simone concede il bis Allegri perde anche i nervi
Secondo trofeo per il tecnico nerazzurro Max polemico nella ripresa viene espulso
ROMA Più che una sfida è stato un sequel, Juve-Inter: un po’ luna park (due golazi, di Barella e Perisic) e un po’ saloon, con due rigori (uno al Var), autoscontri in campo e bisticci fuori, fino all’espulsione di Massimiliano Allegri, nel mezzo del primo supplementare. Poco prima s’era acceso il diverbio tra l’allenatore juventino e il vice nerazzurro, Massimiliano Farris, poi un capannello tra le due panchine è finito con il cartellino rosso. Lì, dopo essere stata avanti 2-1, s’era sbriciolata la Juve e il sogno di non chiudere la stagione con «zero tituli», come alla Juve non accadeva dal 2011, ultimo anno prima dell’Era da record.
Del resto, legato ormai il destino più al risultato che al gioco, se non altro perché siamo a maggio, chiunque avesse vinto sarebbe stato quello «bravo» (copyright proprio di Allegri) e l’altro no: è andata che Simone Inzaghi si è preso il secondo trofeo stagionale, tenendo accesa la speranza del triplete nostrano e incassando il coro a tutto volume della sua curva. Mentre resta con il minimo sindacale il tecnico juventino, ovvero la qualificazione alla prossima Champions.
Eppure, andando dietro alla sua metafora della vigilia, i bianconeri erano andati vicini a prendersi l’intera torta, e non solo quella ciliegina che negli anni ruggenti aggiungevano a fine stagione, tanto da prepararla in due minuti, in avvio di ripresa: quelli che separano il perfido tocchetto di Morata sotto porta, a ingannare Handanovic, e il tap-in di Vlahovic, che con una finta aveva comunque messo a sedere tutti, difensore e portiere. Roba da Masterchef (del risultato). Va da sé, vista dalla parte opposta, quella di Inzaghi, in quel frangente tutto era diventato un pasticcio, perché l’Inter non solo era stata in vantaggio, ma pareva pure in comodo controllo.
Grazie agli ingredienti vincenti che, dopo una manciata di minuti, gli aveva messo sul banco Nicolò Barella, uno che non fa gol brutti, di più quando conta, come ieri sera: sassata incrociata da oltre venti metri, sfruttando anche la pausa caffè della difesa juventina e squassando subito la finale di Coppa Italia.
Pareva una delle sue notti agli Europei, quando infilò il Belgio, pure lì con colpo di gran classe. Se calci così, devi avere un bel po’ di fiducia: «Arrivare all’Inter e allenarmi con grandi campioni, mi ha fatto migliorare e mi ha dato consapevolezza», ha ripetuto. Nonostante i palloni sgonfi del primo tempo, come si erano lamentati i giocatori e l’arbitro, Paolo Valeri, alla pausa: «Ma com’è possibile?».
Sgonfi erano sembrati anche i bianconeri, soprattutto in avvio, con Allegri immobile ai confini dell’area tecnica, mentre il collega, as usual, si agitava a ogni azione: camminando per accompagnare le ripartenze o spalancando le braccia a ogni contatto sospetto. Insomma, una tavola imbandita per il trionfo nerazzurro, il terzo stagionale, supremazia vista solo negli anni Venti del Novecento. Con il popolo interista in euforia modello Papeete.
Al ritorno in campo, la Juve s’era invece svegliata: come se avesse ascoltato la chitarra elettrica di Jacopo Mastrangelo, il giovane che suonava in piazza Navona durante il lockdown, e che qui aveva movimentato il pre-partita; o
Perisic/1
Ci ho sempre creduto anche quando eravamo sotto 2-1. Abbiamo perso la testa per qualche minuto, ma abbiamo reagito bene
la voce di Arisa, per l’inno nazionale. All’improvviso, dopo l’errore della prima metà, Allegri aveva ritrovato anche Dybala, sul quale la curva interista aveva preso per i fondelli i tifosi avversari: «Dybala è nostro». Di certo non più juventino, a fine anno, in un addio che Pavel Nedved non ha reso meno ruvido: «Dove si è arenata la trattativa? Faccio fatica a dire dove, ma le sue richieste erano altissime».
Aveva invece incoraggiato Vlahovic: «Per come si allena è giusto che sia in campo». Difatti, il numero sette ha sfiorato il bersaglio nel primo tempo (violento diagonale deviato da Handanovic) e l’ha centrato nel secondo. Mica finita, perché il rigore interista aveva riacceso la notte, facendo divampare la rivalità: quest’anno, però, non c’è stata partita.
Perisic/2 Quando la squadra è così forte, è più facile essere leader. Dobbiamo solo continuare così.
Noi crediamo ancora nello scudetto