Un gesto che complica l’intesa Vaticano-Pechino (alla quale il prelato si era opposto con forza)
CITTÀ DEL VATICANO La reazione ufficiale arriva a metà pomeriggio, poche parole affidate al portavoce vaticano Matteo Bruni. La Segreteria di Stato si è messa al lavoro da ore, ormai già si attende la liberazione del cardinale su cauzione, ma non si sa mai: «La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell’arresto del cardinale Zen e segue con estrema attenzione l’evolversi della situazione».
Nient’altro, perché «la situazione è già abbastanza complicata», spiegano Oltretevere, e adesso si tratterà di «valutare le conseguenze» di ciò che è accaduto. Situazione inaudita, l’arresto di un cardinale, anche perché i cardinali hanno il passaporto diplomatico e godono in genere di immunità: non col regime cinese, però, considerato che il Vaticano e Pechino non hanno rapporti diplomatici da quando Mao prese il potere e il nunzio Antonio Riberi fu costretto a lasciare il Paese due anni più tardi, il 5 settembre 1951.
Un primo, faticoso passo, preparato da decenni di relazioni diplomatiche sottotraccia, è stato l’«accordo provvisorio» sulla nomina dei vescovi firmato a Pechino il 22 settembre 2018, entrato in vigore un mese dopo «ad experimentum» per due anni e rinnovato il 22 ottobre 2020 per altri due: scade in autunno. E certo, come se già le difficoltà e le resistenze nell’apparato cinese non fossero abbastanza, l’arresto di un cardinale non è il miglior viatico per proseguire nell’intesa e renderla stabile. Il paradosso è che anche nella Chiesa non mancano le resistenze e, fra tutti, il maggiore oppositore della nuova «Ostpolitik» vaticana, simbolo e capofila del «no», è proprio il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, in pensione dal 2009, arrivato nel frattempo a novant’anni ma non per questo meno combattivo. Mentre si stava per rinnovare l’accordo, per dire, reagì con una lettera aperta tradotta in varie lingue nella quale dava del «bugiardo» al cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e lo accusava tra l’altro di aver detto cose «stomachevoli» e di «dialogo col nemico», fino a scrivere: «Non so perché il Papa si lascia manipolare da lui».
Quando è andato in pensione anche il successore ed ex coadiutore di Zen, Francesco ha nominato ad Hong Kong il confratello padre Stephen Chow Sau-yan, 61 anni, fin all’anno scorso Provinciale e quindi superiore dei gesuiti nella provincia cinese della Compagnia di Gesù. Una scelta significativa, considerata la storia dei gesuiti in Cina, la missione di dialogo iniziata quattro secoli fa da Matteo Ricci. Per Francesco si tratta di uno degli obbiettivi fondamentali del pontificato, con buona pace delle preoccupazioni degli Usa, nella convinzione che «l’Asia è il futuro della Chiesa». Ma l’arresto di un cardinale, per quanto riottoso, non è qualcosa che la Santa Sede possa far passare come niente fosse.