I SENTIERI STRETTI
Ripartire dal grano. Davanti a un conflitto tremendo (una macelleria ha detto Draghi alla Casa Bianca) e ai problemi di tenuta politica, economica ed energetica che le onde della guerra stanno trasmettendo soprattutto in Europa, può sembrare strano individuare nello sblocco dei cereali per l’Africa fermi nei porti ucraini un punto focale dell’incontro tra Joe Biden e il capo del governo italiano.
Ma questa visita di un leader sul quale l’Amministrazione Usa fa molto affidamento per la tenuta dell’unità d’intenti con l’Europa ha segnato il preannuncio di un cambio di passo nella valutazione della guerra e delle sue conseguenze. Draghi è venuto, da solido alleato e da profondo conoscitore di un’America nella quale ha vissuto per tanti anni, a sollecitare una riflessione comune. Respinge le suggestioni di chi vorrebbe un «Atlantico più largo», ma chiede al partner americano, comprensibilmente concentrato sullo sforzo bellico e costretto dal suo ruolo mondiale a opporsi con la massima durezza possibile alla ferocia con la quale il Cremlino ha condotto la sua aggressione, a guardare lontano: non per allentare il sostegno militare all’Ucraina o le sanzioni alla Russia che devono, anzi, essere rese più efficaci, ma per provare a capire se la riapertura di qualche tavolo di dialogo, fin qui esclusa proprio per l’ostracismo di Mosca, non torni ad essere una possibilità, viste le mutate condizioni del conflitto. Gli aiuti bellici sono stati garantiti: coi 40 miliardi di dollari di forniture militari e sostegni umanitari votati martedì dal Congresso, in soli due mesi gli Stati Uniti hanno varato misure per oltre 53 miliardi (quasi 50 miliardi di euro) e stanno consegnando gli armamenti con una rapidità mai vista prima. Ma proprio grazie alla tempestività e all’efficacia di questi interventi militari, oltre che al coraggio e alla determinazione degli ucraini, la guerra ha cambiato volto. Non più il rischio di un’Ucraina cancellata dalle mappe geografiche secondo il disegno iniziale di Putin che pensava di disporre di un’armata invincibile, ma una guerra di logoramento che rischia di durare anni col dispositivo bellico dell’ex Armata Rossa che ha rivelato (almeno nella sua parte convenzionale), tutta la sua fragilità. E allora è ipotizzabile che il presidente russo, che non vuole riconoscere gli errori che sa di aver commesso e che non può accettare la sconfitta, cominci anche lui ad aprire alla ricerca di qualche soluzione negoziata per arrestare il conflitto e tornare a un minimo di convivenza civile. Draghi sa che si tratta di un sentiero molto stretto, ma ha fatto capire di intravederlo quando ha parlato di un Putin oggi forse diverso da quello che tre mesi fa gli disse che non era tempo di negoziare perché pensava di conquistare l’Ucraina in pochi giorni. Da dove ripartire, allora, per un dialogo comunque difficilissimo nel quale spetta a Zelensky stabilire quali sono le condizioni minime accettabili per una tregua mentre bisognerà cercare, come avverte Macron, di non umiliare Putin? Lo sblocco del grano ucraino può essere questo primo passo: servirebbe a evitare una carestia che rischia di fare milioni di morti in Africa e può provocare nuove ondate migratorie verso l’Europa. E consentirebbe di poggiare la ripresa del dialogo su un terreno, quello degli aiuti umanitari, meno esposto a veti incrociati che lo farebbero subito fallire.
Gli spazi di manovra sono minimi e i rischi di strumentalizzazioni da parte dei putiniani molto forti. Così come è difficile per un governo Usa che non ha visto, fin qui, spiragli di dialogo, accettare di aprirne. Draghi non ha nascosto che su questo ci sono differenze di accenti: parlando del prossimo G20, ad esempio, ha detto che la scelta di non sedersi a un tavolo assieme a Putin sarebbe più che legittima, visti i crimini dei quali si è macchiata la Russia, ma potrebbe essere controproducente se a quel tavolo il resto del mondo ci sarà. La sfida è provare a ripartire, più che dai rischi, dalle opportunità che lo stesso Biden ha creato con la sua reazione ferma, tempestiva e articolata, fatta di sostegno militare dell’Ucraina, ricucitura politica con l’Europa e confronto aspro ma costruttivo con una Cina che, nonostante gli annunci di alleanze «senza limiti», fin qui non ha fatto nulla per aiutare lo sforzo bellico di Putin.