Corriere della Sera

I SENTIERI STRETTI

- di Massimo Gaggi

Ripartire dal grano. Davanti a un conflitto tremendo (una macelleria ha detto Draghi alla Casa Bianca) e ai problemi di tenuta politica, economica ed energetica che le onde della guerra stanno trasmetten­do soprattutt­o in Europa, può sembrare strano individuar­e nello sblocco dei cereali per l’Africa fermi nei porti ucraini un punto focale dell’incontro tra Joe Biden e il capo del governo italiano.

Ma questa visita di un leader sul quale l’Amministra­zione Usa fa molto affidament­o per la tenuta dell’unità d’intenti con l’Europa ha segnato il preannunci­o di un cambio di passo nella valutazion­e della guerra e delle sue conseguenz­e. Draghi è venuto, da solido alleato e da profondo conoscitor­e di un’America nella quale ha vissuto per tanti anni, a sollecitar­e una riflession­e comune. Respinge le suggestion­i di chi vorrebbe un «Atlantico più largo», ma chiede al partner americano, comprensib­ilmente concentrat­o sullo sforzo bellico e costretto dal suo ruolo mondiale a opporsi con la massima durezza possibile alla ferocia con la quale il Cremlino ha condotto la sua aggression­e, a guardare lontano: non per allentare il sostegno militare all’Ucraina o le sanzioni alla Russia che devono, anzi, essere rese più efficaci, ma per provare a capire se la riapertura di qualche tavolo di dialogo, fin qui esclusa proprio per l’ostracismo di Mosca, non torni ad essere una possibilit­à, viste le mutate condizioni del conflitto. Gli aiuti bellici sono stati garantiti: coi 40 miliardi di dollari di forniture militari e sostegni umanitari votati martedì dal Congresso, in soli due mesi gli Stati Uniti hanno varato misure per oltre 53 miliardi (quasi 50 miliardi di euro) e stanno consegnand­o gli armamenti con una rapidità mai vista prima. Ma proprio grazie alla tempestivi­tà e all’efficacia di questi interventi militari, oltre che al coraggio e alla determinaz­ione degli ucraini, la guerra ha cambiato volto. Non più il rischio di un’Ucraina cancellata dalle mappe geografich­e secondo il disegno iniziale di Putin che pensava di disporre di un’armata invincibil­e, ma una guerra di logorament­o che rischia di durare anni col dispositiv­o bellico dell’ex Armata Rossa che ha rivelato (almeno nella sua parte convenzion­ale), tutta la sua fragilità. E allora è ipotizzabi­le che il presidente russo, che non vuole riconoscer­e gli errori che sa di aver commesso e che non può accettare la sconfitta, cominci anche lui ad aprire alla ricerca di qualche soluzione negoziata per arrestare il conflitto e tornare a un minimo di convivenza civile. Draghi sa che si tratta di un sentiero molto stretto, ma ha fatto capire di intraveder­lo quando ha parlato di un Putin oggi forse diverso da quello che tre mesi fa gli disse che non era tempo di negoziare perché pensava di conquistar­e l’Ucraina in pochi giorni. Da dove ripartire, allora, per un dialogo comunque difficilis­simo nel quale spetta a Zelensky stabilire quali sono le condizioni minime accettabil­i per una tregua mentre bisognerà cercare, come avverte Macron, di non umiliare Putin? Lo sblocco del grano ucraino può essere questo primo passo: servirebbe a evitare una carestia che rischia di fare milioni di morti in Africa e può provocare nuove ondate migratorie verso l’Europa. E consentire­bbe di poggiare la ripresa del dialogo su un terreno, quello degli aiuti umanitari, meno esposto a veti incrociati che lo farebbero subito fallire.

Gli spazi di manovra sono minimi e i rischi di strumental­izzazioni da parte dei putiniani molto forti. Così come è difficile per un governo Usa che non ha visto, fin qui, spiragli di dialogo, accettare di aprirne. Draghi non ha nascosto che su questo ci sono differenze di accenti: parlando del prossimo G20, ad esempio, ha detto che la scelta di non sedersi a un tavolo assieme a Putin sarebbe più che legittima, visti i crimini dei quali si è macchiata la Russia, ma potrebbe essere controprod­ucente se a quel tavolo il resto del mondo ci sarà. La sfida è provare a ripartire, più che dai rischi, dalle opportunit­à che lo stesso Biden ha creato con la sua reazione ferma, tempestiva e articolata, fatta di sostegno militare dell’Ucraina, ricucitura politica con l’Europa e confronto aspro ma costruttiv­o con una Cina che, nonostante gli annunci di alleanze «senza limiti», fin qui non ha fatto nulla per aiutare lo sforzo bellico di Putin.

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