Draghi: lavorare per la pace Conte attacca Palazzo Chigi
Il premier ai ministri: Biden dovrebbe chiamare Putin Pronto il terzo decreto sulle armi da mandare a Kiev Il capo M5S: ci vuole un voto, manca il mandato politico
ROMA Sarà «impossibile» dimenticare i massacri, le fosse comuni, la fuga di milioni di profughi, ma ora che la guerra ha cambiato fisionomia bisogna «guardare al futuro» e lavorare per arrivare alla pace. I ministri ascoltano in silenzio il racconto di Mario Draghi, appena rientrato a Palazzo Chigi dalla missione negli Stati Uniti e ancora emozionato, «molto soddisfatto» per l’accoglienza ricevuta alla Casa Bianca. «Mi sembra importante relazionarvi sul colloquio con il presidente Biden», inizia il capo del governo assegnando all’Italia il ruolo di Paese «costruttore di pace». È tempo di «riavviare e intensificare tutti i contatti», tempo di convincere Biden, Putin e Zelensky a sedersi allo stesso tavolo. E tocca al presidente degli Stati Uniti «cercare un canale diretto di dialogo» e chiamare colui che ha scatenato la guerra: Vladimir Putin.
Il primo «progetto concreto di collaborazione» potrebbe essere l’emergenza alimentare, con l’urgenza di far ripartire le navi cariche di grano bloccate nei porti ucraini. A cominciare da Odessa, che sarebbe minato. Quanto alla pace, dovrà essere «quella che vorranno gli ucraini». Per Mariastella Gelmini «è stato un momento coinvolgente» e Roberto Speranza, uscendo da Palazzo Chigi, offre «massimo sostegno allo sforzo di Draghi di riaprire un canale di dialogo tra Putin e Biden».
La maggioranza
L’iniziativa del premier, che si propone come «ponte» tra gli Usa e l’Europa per scongiurare che si aprano crepe nell’alleanza, sembra aver placato le tensioni sul piano interno. Matteo Salvini, che al mattino invocava un faccia a faccia con Draghi, a sera è contento che l’ex presidente della Bce abbia parlato di pace: «La priorità è fermare la guerra, chi spende miliardi per mandare le armi allontana la pace». Meno entusiasmo mostra Giuseppe Conte, che pure a Piazza Pulita su La7 ammette di apprezschese. zare la svolta di Draghi: «Le affermazioni filtrate o rese alla stampa sono di un certo equilibrio, in sintonia con quello che ho sostenuto nelle scorse settimane». Le posizioni dunque si avvicinano, ma non sulle armi: «Carri armati no, armi più pesanti e più letali no. Non ci sono e non ne dobbiamo mandare».
In realtà Conte sa bene che l’Italia è pronta a inviare altre armi a Kiev, per aiutare la resistenza ucraina. Il terzo decreto è pronto e sta per approdare in Gazzetta Ufficiale. Persino l’ex premier dà per ormai acquisito il nuovo provvedimento interministeriale a cui hanno lavorato Difesa, Esteri ed Economia, di sponda con Palazzo Chigi. La lista sarà anche questa volta secretata e conterrà mortai, lanciatori Stinger, mitragliatrici, colpi e lanciatori anticarro e forse anche qualche carro armato. Per il ministro Lorenzo Guerini, che lunedì riferirà al Copasir, questo terzo decreto non segna un coinvolgimento più forte dell’Italia nello scenario di guerra, ma «è la prosecuzione del nostro impegno così come indicato dal Parlamento».
Appuntamento in Aula
Il 19 maggio Draghi riferirà in Aula, prima alla Camera e poi al Senato, sarà una informativa «ampia» e un voto non è previsto. «Per ora è questo, poi vedremo se ci sarà anche altro», lascia uno spiraglio il presidente Roberto Fico. Un voto nelle prossime settimane ci sarà, ma come spiega il dem Stefano Ceccanti «sarà sull’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato». Conte è in pressing, per lui il governo «non è nato con un mandato politico» per affrontare questa guerra per cui il premier deve chiarire in Parlamento «l’indirizzo politico con cui si affronta uno scenario bellico in continua evoluzione». Ma Enrico Letta non è d’accordo: «C’è stato un voto in Parlamento all’inizio di un percorso chiaro e netto, che ha trovato un consenso largo».