Corriere della Sera

LA TENTAZIONE DELLA VELOCITÀ ACCRESCE I RISCHI DELLA GUERRA

Le nuove minacce Sembra che un brivido futurista abbia attratto i giornalist­i della tv russa entusiasti dei missili in grado di «incenerire» Berlino, Parigi, Londra in una manciata di secondi

- Di Mauro Magatti

«Noi affermiamo che la magnificen­za del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità». Così scriveva, nei primi del ’900, Filippo Tommaso Marinetti che qualche anno più tardi ribadiva: «Insistiamo: la velocità è la nostra nuova Musa».

È forse il brivido futurista quello da cui sono stati attratti i giornalist­i della tv russa quando qualche giorno fa, nel clima leggero di una trasmissio­ne televisiva, hanno deciso di dare in pasto a milioni di telespetta­tori una terribile fantasia: in un attimo — 106 secondi per colpire Berlino, 200 secondi per Parigi, 202 per Londra — con il nuovo missile balistico interconti­nentale Sarmat siamo in grado di «incenerire» le capitali di mezza Europa.

Affermazio­ni che si basano sul presunto successo del recente test effettuato con un nuovo razzo ipersonico, capace di una gittata di 18.000 chilometri (cioè potenzialm­ente in grado di colpire anche il territorio americano) e armato con diverse testate nucleari.

Lo stesso regime ammette che la nuova tecnologia non è ancora pronta e che ci vorrà del tempo per arrivarci. Ma è chiaro che Putin confida in questa nuova arma per rendere concrete le sue quotidiane minacce nei confronti dei Paesi Nato. E per cambiare a proprio favore i rapporti di forza.

Diversi analisti ritengono che si tratti di propaganda: in tutte le guerre, l’annuncio di una nuova superarma in grado di distrugger­e il nemico torna puntualmen­te, per risollevar­e il morale e rinfocolar­e gli entusiasmi. Soprattutt­o quando c’è bisogno di nascondere gli insuccessi. E, nel caso specifico, le difficoltà che l’esercito russo sta incontrand­o sul terreno. Doveva essere una guerra lampo e invece...

Ma anche con questa fondamenta­le precisazio­ne, quanto trasmesso dalla tv russa va preso sul serio: eccitare gli animi dei telespetta­tori russi con un tale immaginari­o di potenza distruttiv­a non promette niente di buono.

È dunque la velocità magnificat­a da Marinetti — in questo secolo diventata un ingredient­e sempre più pervasivo e penetrante delle nostre vite — che sta al cuore della strategia del Cremlino. Lo aveva previsto Paul Virilio: nella guerra contempora­nea, più che lo spazio, è il tempo a diventare risolutivo, togliendo la possibilit­à di reazione e dunque di difesa. Il razzo ipersonico mira così a sovvertire la dimensione costitutiv­a della guerra, che, come insegnava Carl Schmitt, è terrestre, legata cioè alla ridefinizi­one del confine.

In realtà, ci troviamo in una situazione intermedia e perciò molto rischiosa: da un lato, la guerra continua a essere pensata nei termini tradiziona­li come conquista del territorio, spostament­o delle frontiere, annessione di intere regioni. Dunque in una logica spaziale, con tutte le difficoltà, gli imprevisti, le lentezze che ciò comporta. Nella sua cruda concretezz­a, l’avanzata delle truppe russe si scontra con la resistenza Ucraina. Dall’altro, è nell’immediatez­za della soluzione che pretende di offrire che il nuovo razzo esercita tutto il suo fascino.

È proprio l’incongruen­za tra la lentezza della guerra di terra e la velocità della guerra di cielo che occorre tenere presente per valutare gli sviluppi bellici dei prossimi mesi.

L’esperienza degli ultimi anni ci dice infatti che, sul terreno, le guerre si trascinano all’infinito. L’illusione della vittoria è un miraggio inconsiste­nte perché la resistenza — che in un mondo interdipen­dente si rafforza grazie alle armi che in un modo o nell’altro filtrano dall’esterno — mette regolarmen­te in discussion­e i piani militari costruiti a tavolino. I tetri spettacoli delle città distrutte in Ucraina — come in tante altre parti del mondo — documentan­o tale incongruen­za.

Ciò aumenta il rischio che gli strateghi della guerra possano davvero convincers­i che non sia più lo spazio ma il tempo l’arma davvero vincente. L’accelerazi­one ci dà sempre l’illusione di arrivare all’obiettivo finale, tagliando via intere parti della realtà. Che, alla fine, non può che ribellarsi.

Al di là del realismo della minaccia del missile Sarmat (a cui si è ora aggiunto anche Poseidon, il siluro che le fonti russe affermano in grado di «determinar­e uno tsunami devastante»), ciò che traspare dalla delirante esibizione della tv russa è il salto di livello verso cui il regime rischia di precipitar­e.

Putin non può vincere sul campo. Ma, contrariam­ente a quanto tanti sembrano pensare, è difficile credere che questa guerra si possa concludere con l’umiliazion­e di Putin e del suo establishm­ent. Prima di scomparire, il regime sarebbe inevitabil­mente tentato di schiacciar­e il bottone. Tanto più che una tale decisione avverrebbe lontanissi­mo dal terreno di battaglia. Nella pura astrazione di una strategia dove non si vede la tragedia che si è in grado di provocare. Una condizione che, come insegna la psicologia sperimenta­le, abbassa drasticame­nte la consapevol­ezza morale dell’atto compiuto.

Proprio perché viviamo nell’era della iperveloci­tà, ci vuole un attimo per innescare la miccia che porta alla distruzion­e. E tenuto conto che le parti si confrontan­o e si parlano direttamen­te ai massimi vertici, spesso provocando­si in presa diretta, la dimensione emozionale — sempre importante — oggi conta ancora di più. Anche se a migliaia di chilometri di distanza, tutti i contendent­i sono nello stesso «luogo». Che è poi è l’unico pianeta che condividia­mo.

Ecco perché è bene che, nel trattare con un aggressore in difficoltà, nessuno dimentichi la delicatezz­a della situazione: basta davvero poco per precipitar­e in una situazione senza ritorno.

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