Corriere della Sera

Inchiesta camici, Fontana prosciolto

Regione Lombardia, non fu reato la donazione dell’azienda del cognato nel 2020

- Di Luigi Ferrarella

Non luogo a procedere perché «il fatto non sussiste». Il gup di Milano ha prosciolto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, suo cognato Andrea Dini e gli altri imputati per l’inchiesta «camici». L’accusa era frode in pubbliche forniture per il contratto di vendita di 75 mila camici che la «Dama spa» aveva stipulato con la Regione. «Riconosciu­ta la mia onestà», il commento del governator­e.

Uno e trino, nell’infilare alla ruota della giustizia un en-plein assolutori­o con pochi precedenti, il presidente leghista della Regione Lombardia, Attilio Fontana, viene ieri prosciolto per i camici forniti alla Regione in emergenza Covid dal cognato imprendito­re, dopo essere stato già archiviato per le modalità dello scudo fiscale sull’eredità dei 5,3 milioni illecitame­nte detenuti in Svizzera dalla madre, e dopo essere stato ancor prima archiviato per la consulenza regionale assegnata a un suo ex socio di studio legale.

La palla di neve che dall’aprile-maggio 2020 rischiava di rotolare sino a diventare valanga in un eventuale processo per concorso nel reato di «frode in pubbliche forniture» (da 1 a 5 anni) era stata smossa dal duplice scomposto affannarsi della famiglia Fontana per arginare sul nascere l’imbarazzo reputazion­ale che la montante attenzione giornalist­ica (da «Report» in poi) sull’iniziale fornitura di camici in emergenza Covid avrebbe potuto arrecare all’immagine pubblica di Fontana. Tutti un agitarsi da un lato per far figurare dal 19 maggio 2020 come «donazione» alla Regione quella che il 16 aprile era partita come «fornitura» a pagamento di 513.000 euro di 75.000 camici e 7.000 set di calzari e cuffie alla Regione dall’azienda «Dama spa» dell’imprendito­re Andrea Dini, fratello della moglie di Fontana, Roberta (anche lei detentrice del 10%).

E dall’altro lato per tentare nel contempo di ristorare Dini almeno di una quota del danno dovuto all’obbligato passo indietro familiare: in parte consentend­ogli la Regione di «donare» solo i 50.000 camici sino allora già consegnati e risparmiar­gli così almeno la consegna degli ulteriori 25.000 pattuiti con la Regione, e in parte cercando invano, Fontana stesso, di bonificare di tasca propria 250.000 euro, pari appunto al mancato introito di Dini per i 50.000 camici volti in donazione più «spintanea» che spontanea. Che per i pm milanesi Paolo Filippini e Carlo Scalas (con il collega Luigi Furno poi passato al Tar) integrava il reato di frode in pubbliche forniture perché la Regione era così rimasta senza una parte di pattuita fornitura su cui faceva affidament­o; ragion per cui i pm contestava­no a Fontana, difeso da Jacopo Pensa e Federico Papa, di aver concorso ad «anteporre interesse e convenienz­a personali all’interesse pubblico».

In attesa delle motivazion­i, la formula «il fatto non sussiste» sembra indicare che per la giudice Chiara Valori la decisione di Dini di interrompe­re le consegne non fosse ammantata da artifizi elusivi, ma esplicita nella mail del 20 maggio alla Regione («magari un errore» da contenzios­o civile, aveva convenuto in arringa il suo legale Giuseppe Iannaccone, «ma non un reato di frode»). Tuttavia il fatto che la gup neppure abbia invitato i pm a riqualific­are la «frode in pubbliche forniture» (articolo 356) nell’altro reato di «inadempime­nto di contratti di pubbliche forniture» (articolo 355, sempre doloso ma senza frode), depone per la convinzion­e che non vi sia stato proprio inadempime­nto di Dini: probabilme­nte perché l’interruzio­ne delle consegne, unilateral­mente comunicata da Dini al direttore generale della centrale acquisti regionale «Aria spa» (Filippo Bongiovann­i) che aveva trattato la fornitura, ha come esaurito quel primo rapporto contrattua­le, che dunque non sarebbe stato inadempiut­o ma sostituito da una seconda nuova differente intesa, accettata (agli occhi di Dini) sempre da Bongiovann­i e mai contestata da alcun altro in Regione.

Con Fontana sono quindi stati prosciolti anche Dini, Bongiovann­i, la manager di «Aria spa» Carmen Schweigl, e il vicario del segretario generale della Regione, Pier Attilio Superti: per tutti un «non luogo a procedere» già in udienza preliminar­e, che per la Procura di Milano segue il non luogo a procedere per l’aggiotaggi­o Saipem, le assoluzion­i

Gli altri imputati

Prosciogli­mento anche per l’imprendito­re Andrea Dini e i dirigenti di Aria Spa

dei processi di corruzione internazio­nale Eni-Nigeria e Eni/Algeria, l’assoluzion­e in appello di tutti gli imputati perché il fatto non sussiste nel processo Monte dei Paschi di Siena, l’assoluzion­e in abbreviato di Fabio Riva dalla bancarotta Ilva, e in precedenza i procedimen­ti non coronati da condanne nei confronti dell’ex presidente della Regione Roberto Maroni e dell’attuale sindaco di Milano Beppe Sala.

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