A Kharkiv liberata «I russi sono andati ma la pace è lontana»
Nei quartieri e nei villaggi attorno a questa metropoli ferita dalle bombe, nonostante il ritiro delle truppe del Cremlino, la vita è ancora sospesa a un filo. E i missili continuano a cadere
Sulla carta i bollettini delle vittorie contro i russi in ritirata sembrano decisivi, e probabilmente lo sono davvero, ma arrivando ieri mattina nei quartieri e i villaggi attorno a questa metropoli ferita dalle bombe non è stato difficile comprendere quanto tutto proceda a rilento ed in effetti la situazione rimanga estremamente precaria. Tappe centrali del nostro viaggio sono i quartieri di Sievernaia Saltivka e Piatykhatky, due vasti agglomerati urbani posti una decina di chilometri a nord di Kharkiv, dove poco meno di un mese fa i russi martellavano senza sosta e le loro truppe avevano piazzato cecchini nei palazzi più alti. Arrivarci era una giostra col pericolo, le pattuglie ucraine appena potevano cacciavano indietro i giornalisti e i pochi abitanti rimasti giocavano a rimpiattino con la morte.
Ora non più e questa resta la notizia più confortante. «Da oltre quindici giorni siamo riusciti a cacciare i russi più a nord e sia le loro batterie pesanti che i missili Grad qui praticamente non cadono più. Però proseguire è vietato, appena fuori la minaccia rimane», dice perentorio il soldato che controlla il primo posto di blocco verso nord. «Attenzione pericolo di vita. Bombardamenti!», avvisa alle sue spalle il messaggio scritto a caratteri cubitali sulle fiancate di due minivan crivellati di colpi, utilizzati come barricate. Imboccando le vie laterali ci inoltriamo nella zona residenziale e subito s’impone la devastazione che a metà aprile scorgevamo appena da poco lontano tra il fumo nero degli incendi. Non c’è edificio che non sia stato colpito, alcuni sono parzialmente bruciati, praticamente tutte le finestre sono infrante, sul terreno si susseguono macerie, rottami, crateri, rami spezzati.
Pannelli di legno
Quasi nessuno è tornato alla sua casa. Di fronte a una zona di palazzoni una ventina di operai cerca di sostituire gli infissi rotti con pannelli di legno. «Ormai è la nostra attività principale. In tutto il Paese manca il vetro per le finestre e adesso scarseggia anche il compensato», spiega il 42enne Alexei, che è il caposquadra. Poco lontano Valentina e Alexander, marito e moglie entrambi 73enni, sono venuti a verificare l’appartamento al secondo piano. «Siamo stanchi di dormire nella stazione della metropolitana. Ci stiamo dai primi di aprile. Vorremmo tornare a casa il prima possibile. Però qui mancano luce e acqua e soprattutto il fragore delle bombe è ancora troppo vicino», spiegano sconsolati. A un centinaio di metri stessa scena: Valery Vasilievich, 71 anni, assieme alla sorella 68enne Ludmilla sono venuti a recuperare vestiti e coperte da portare al ricovero dentro la stazione del metrò a piazza Puskin. «Grazie ai nostri soldati siamo potuti venire, ma è troppo presto per restare», dicono. Le loro parole fanno eco alle dichiarazioni poche ore fa del ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, il quale ha volutamente raffreddato i bollettini trionfanti degli ultimi giorni. «La fine della guerra resta lontana, stiamo entrando in una nuova fase dei combattimenti, ci attendono settimane estremamente difficili, non possiamo dire con certezza quante», scrive sui social. Un avviso alla cautela contro i facili entusiasmi, che alla prima delusione rischiano di abbattere il morale.
Il silenzio irreale
Permane un silenzio irreale tra queste rovine, interrotto ogni tanto dal tonfo di un cornicione mosso dal vento, o da una scheggia di vetro che cade sul selciato. In lontananza continua il brontolio della battaglia. E si fa molto più acuto raggiungendo la zona di Piatykhatky. Un soldato ci ferma subito all’entrata presso la chiesa ortodossa, non riusciamo neppure a raggiungere le prime case, esattamente come era accaduto in aprile. Proviamo a controbattere, però due colpi d’artiglieria pesante deflagrano a un paio di chilometri preceduti da un sibilo minaccioso. «Ma i russi non erano scappati?», chiediamo. «Sì, ma hanno
portato avanti i cannoni a lunga gittata e continuano a sparare contro la periferia», ribadisce. Aiuta a rialzare il morale l’incontro con Valery Polshikov, il 56enne proprietario di cinque Pizzerie Maranello nel centro. Due le ha riaperte dal 24 aprile, anche se per ora ammette di avere quotidianamente solo il 30 per cento dei clienti di prima della guerra. «Sento che siamo molto vicini alla ripresa della vita nella nostra città. Lo vedo anche dai negozi all’ingrosso, ogni giorno migliora l’arrivo dei prodotti, ci stiamo riprendendo», dice. Su uno dei banchi, dove prima teneva le bibite, ha esposto le schegge di una granata caduta nelle vicinanze. «Serve per dire che siamo sopravvissuti. Ci sparano contro, ma noi restiamo. Putin non potrà mai prendersi l’Ucraina».