Cariche ai funerali. Accuse a Israele
Scontri al corteo funebre della reporter di Al Jazeera uccisa a Jenin. Condanna di Casa Bianca e Unione europea
GERUSALEMME La polizia smuove la folla a colpi di bastoni, gli uomini che portano la bara ondeggiano, uno di loro si accascia, il feretro rischia di cadere. Shireen Nasri Abu Aqla, la giornalista di Al Jazeera uccisa a Jenin mercoledì, è ormai un simbolo politico. Gli arabi la celebrano come la «voce della Palestina», in migliaia si sono presentati a Gerusalemme per la cerimonia. Accusano gli israeliani di averla ammazzata durante gli scontri nella città della Cisgiordania, mentre un’indagine interna all’esercito per ora sostiene di non poter stabilire chi l’abbia colpita: gli ufficiali spiegano che in quel momento era in corso una sparatoria tra i miliziani e i soldati, chiedono di poter analizzare il proiettile recuperato dai palestinesi durante l’autopsia.
Adesso gli agenti provano a spiegare di essere intervenuti in tenuta antisommossa contro i lanci di pietre e gli slogan nazionalisti. Restano le immagini convulse, le scene che hanno stravolto un momento di raccoglimento nel dolore. La Casa Bianca, attraverso la portavoce Jen Psaki, condanna l’incursione «contro una processione che avrebbe dovuto essere accompagnata dalla calma». Josep Borrell, Alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’Unione europea, dice di essere «sconvolto per l’uso sproporzionato della forza e il comportamento irrispettoso delle truppe israeliane». Shireen è stata omaggiata giovedì nel palazzo della Muqata a Ramallah dal presidente Abu Mazen, il funerale di ieri a Gerusalemme Est — dove viveva, aveva anche la nazionalità americana — è diventato il più grande dai tempi del corteo che ha seguito nel 2001 il feretro di Faisal Husseini, leader palestinese e discendente di una delle famiglie musulmane più importanti della città. La bara con il corpo della reporter che lavorava per il canale di proprietà del Qatar è stata trasportata dall’ospedale verso una chiesa — Shireen era cristiana — e la polizia è intervenuta quando i partecipanti — urlavano «daremo il nostro sangue per te» — avrebbero tentato di deviare dal percorso concordato. Gli agenti hanno anche strappato decine di bandiere palestinesi.
L’esercito ieri è intervenuto a Jenin per arrestare un capo della Jihad Islamica, i vicoli di nuovo trasformati in zona di guerra come nel giorno in cui è morta Shireen. La città — lo era anche durante la seconda intifada — è considerata il centro in Cisgiordania da dove è alimentata l’ondata di attentati che sta colpendo Israele dalla fine di marzo, i morti sono già diciassette.